La distorsione di caviglia, anche conosciuta come “storta” è uno dei più frequenti infortuni che avvengono durante le attività sportive o nelle attività di vita quotidiana. Nella maggior parte dei casi il trauma è causato dalla rotazione della caviglia verso l’interno (inversione), mostrando immediatamente una sintomatologia dolorosa e segni classici come gonfiore.
Esistono due tipi di trauma distorsivo: in inversione ed eversione.
Il trauma in inversione: è il più frequente e consiste in una rotazione interna del piede a cui viene abbinata una flessione plantare e una adduzione. Questo permette di capire, che le strutture maggiormente colpite sono i legamenti laterali e le strutture tendinee che limitano in modo passivo quei movimenti, quindi i tendini peronieri, il tendine del tibiale anteriore e il compartimento tendineo degli estensori con il suo retinacolo.
Il trauma in eversione: meccanismo lesionante che avviene in rotazione esterna del piede con flessione dorsale e abduzione. Questa volta i legamenti coinvolti sono quelli del compartimento mediale con complicazioni a carico dei tendini dei muscoli flessori delle dita e dell’alluce, del muscolo tibiale posteriore con implicazione del retinacolo dei flessori.
In entrambi i casi si potrebbe danneggiare la propriocezione e soprattutto, se non trattata e rieducata correttamente, c’è un alto rischio di recidiva. La causa del trauma durante attività sportiva può essere:
- diretta, come può avvenire in un contrasto negli sport di contatto;
- indiretta, dovuta alla lassità legamentosa;
- indiretta dopo un atterraggio con appoggio errato.
La classificazione prevede diversi gradi di lesione. Se si prende l’esempio più classico di trauma in inversione, si avrà:
grado 0: minimo gonfiore senza edema, nessuna lesione legamentosa;
grado 1: gonfiore con edema, rottura legamento peroneo-astragalico anteriore (PAA);
grado 2: tilt astragalico di 20/30° con rottura PAA e legamento peroneo-calcaneare (PC);
grado 3: tilt astragalico sopra i 30° con rottura dei 3 legamenti ( PAA,PC, PAP).
Sintomatologia
La sintomatologia, in acuto, è molto fastidiosa, con dolore, gonfiore e a volte spasmi muscolari. È come se il corpo creasse questo meccanismo per impedire che un ulteriore movimento provochi altri danni, per via della compromissione, più o meno grave, della stabilità dell’articolazione.
Generalmente la zona è sempre dolorosa alla palpazione e si può trovare tumefazione con edema, dipende della gravità, che tende a depositarsi alla base della pianta.
Nei traumi di grado 0 e 1, i sintomi tendono a scomparire entro qualche giorno o al massimo 2 settimane. Nelle lesioni di 2° e 3° grado la guarigione sarà molto lenta, tanto che andrà dalle 6 alle 8 settimane, con una grave instabilità dell’articolazione.
Diagnosi
La valutazione clinica è l’approccio più usato, senza la richiesta di RM, proprio perché molto spesso dall’analisi dei segni è già possibile stimarne la gravità. Nei casi più gravi, dopo aver controllato i criteri di Ottawa (utili per escludere eventuali fratture ossee) si può richiedere inoltre, una Rx oppure una RM non appena si è leggermente riassorbito l‘edema. Per la valutazione dei legamenti sono importanti le “prove da stress” oppure si può richiedere un’ecografia, sempre in assenza di edema eccessivo.
Va fatta una valutazione differenziale per escludere le fratture del 5° metatarso, lesioni al tendine d’Achille e fratture astragaliche che possono portare sintomi analoghi.
Trattamento
Si possono identificare tre fasi: post-acuta; sub-acuta; rieducazione funzionale.
Fase post-acuta: nelle prime fasi, in una distorsione di 1° grado, si usa il protocollo R.I.C.E (riposo, ghiaccio, compressione, elevazione) con una mobilizzazione precoce, permettendo la risoluzione autonoma nel giro di qualche giorno. Nei casi più gravi, si utilizza il protocollo R.I.C.E, con l’aggiunta dell’immobilizzazione dell’arto. Questo soprattutto per alleviare il dolore, non sembra influire sul risultato finale. Le distorsioni di 3° grado possono necessitare invece, un trattamento chirurgico.
Fase sub-acuta: l’obiettivo in questa fase è quello di eliminare il dolore, recuperare la mobilità articolare e iniziare un lavoro di recupero della forza.
Rieducazione funzionale: in questa ultima fase, il paziente può essere seguito in palestra, dove grazie al professionista del movimento verrà attuato un programma centrato sul recupero dell’equilibrio, della propriocezione e della forza, in modo da rendere la caviglia più stabile e soprattutto evitare il rischio di una recidiva.
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