Susanne è là da sola, tra le ombre dense di luce della sua stanza, e s’agghinda i riccioli in trepida attesa del ballo. Là giunta, sembra che non vi sia per lei alcun invito, fino a che… ‘lui’. È bellissimo, ed è il Principe… la prende per mano, trascinandola in vorticose girandole di danza, e quando il fiore posato tra i suoi capelli cade a terra, scocca il magico istante di un bacio. Trascorrono le ore, veloci, i due passano la notte insieme e solo alla mattina, dinanzi alla porta di casa, Susanne uscirà dalla sognante dimensione della sua meraviglia trovando il padre, minaccioso, ad aspettarla. Dopo qualche mese, poi, per Susanne e il suo principe arriverà il momento delle nozze.
Ecco la versione in lingua walser di questo noto e diffuso esito infantile (qui acquisito, in una rara registrazione ‘d’epoca’, in forma incompleta, ricostruita grazie alle testimonianze successive degli informatori): la melodia, anch’essa mutila, si estende su un esacordo di natura eptatonica.
Da qui prende il via la mia elaborazione ‘corale’, ed anzi ‘teatral-corale’, come avremo modo di scoprire. Il primo passo si è però concentrato sul testo, che richiedeva (al fine della buona riuscita dello ‘scavo’) una preliminare attività di elaborazione, ed alcuni interventi mirati ad eliminare le tracce evidenti di corruzione. Dopo aver effettuato la traduzione (anche qui, ‘doppia’: in primis letteraria, all’interno della scheda filologica, quindi poetica, posta a calce dello spartito) ho voluto evidenziarne proprio la portata ‘teatrale’ , suddividendo le strofe in quattro ‘atti’, contraddistinti da un titolo (“Da lontano...”, “Il ballo”, “L’ora del ritorno” e “Nel vento...”).
Ho potuto, allora, pensare al coro ed effettuare il mio intervento, che è costantemente ‘in divenire’, ed è soprattutto realizzato su ‘due livelli’: da un lato rappresenta e ‘descrive’ la vicenda letteraria, ma allo stesso tempo ritrova una sensazione, un fenomeno, che tutti noi conosciamo, viviamo e abbiamo vissuto. È il trascorrere del tempo, che inesorabile travolge noi, le nostre sensazioni ed i nostri ricordi, capace di farci pensare a quelle fotografie in bianco e nero, rimaste chiuse per anni dentro a un cassetto, che poi ritroviamo anni dopo coi bordi sfocati ed i colori indistinti, soffusi.
Tutto prende il via da quegli echi di corni che lambiscono il doppio recitativo iniziale, affidato a due cantori liberi di allontanarsi e mescolarsi al pubblico. Seguono due solisti, a introdurre un ritmo di danza a tre voci: ora anche il coro si può muovere in libertà sul palcoscenico, assecondando le pulsioni del ritmo. Chiamo “teatral-coralità” questa logica compositiva che ‘schioda’ i cantori dalle consuete e rigide pose esecutive: non si tratta però, si badi, di una libertà assoluta e improvvisata… anzi, le estemporanee divagazioni sono frutto di scelte ragionate, e rigorosamente previste in partitura, come parte integrante dell’architettura elaborativa.
Il canto accompagna ora in modo spensierato il cruciale attimo del ‘bacio”… e al di là di alcuni accordi sospesi, due voci ci portano nuovamente dove il babbo di Susanne attende con ansia il suo ritorno. Siamo ad un momento emblematico, dove tutto si fa confuso: quattro voci, in forma canonica, intonano simultaneamente quattro differenti strofe letterarie. Tutt’attorno, il Vento (con ancora una mossa ‘teatrale’), finché dal nulla emerge un solista che ci riporta all’attimo iniziale, a quella soffice e poetica immagine così carica d’attesa e di speranza, con lei e i suoi riccioli biondi tra le dita.
Vi è poco e nulla, in questa mia elaborazione, della voce di Piera Rinoldi, che ha eseguito l’esito alla fonte: non v’è traccia della sua vocalità, degli stilemi con cui ha eseguito la linea melodica. E tutto ciò non è casuale, ma fortemente voluto: l’elaborazione non ‘ricalca’, non intende ‘ritornare’. Vuole, al contrario, proporsi come definitivo momento di liberazione delle istanze emerse dalle profondità dell’esito, come sempre avviene nella nostra esperienza ‘archeologica’. E vi è, qui, un ulteriore livello di lettura che ci riporta all’essenza stessa della nostra ricerca. Raccogliere questi canti, decifrarli, trascriverli, archiviarli, ha significato anche volerli mettere al riparo da ‘quel’ vento, salvaguardarne l’essenza, i colori e le straordinarie valenze di memoria. Senza volerli pretenziosamente imitare, e rinchiudere in serrati forzieri di bronzo, ma scegliendo un ‘nuovo gesto’, fondamentale, al fine di lasciarli nuovamente liberi di prendere il mare, protesi verso le loro preistoriche radici ancestrali.
Esito orale in lingua Walser acquisito a Rimella (Valsesia), tratto dalla ricerca “Cantar Storie”. Elaborazione a cura di Luca Bonavia, esecuzione a cura del Laboratorio Corale Cantar Storie (2008)
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