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Servizio di Simone Sapienza
TESTO
La prima inchiesta sul rapporto tra sondaggi e media. La denuncia dei Radicali
"Avete presente il momento topico dei talk show in cui gli ospiti designati sono chiamati a commentare "i freddi numeri" scaturiti dai sondaggi? Oppure: avete presente quello della zuffa tra politici di parti opposte che si presentano con "dati alla mano" altrettanto opposti? Vi siete sempre chiesti come sia possibile che anche sondaggi affini riportino risultati divergenti? Semplice: perché i sondaggi d'opinione nell'antidemocrazia italiana si sono ridotti a strumento di propaganda."
Inizia così l'inchiesta realizzata da radicali italiani sul rapporto tra sondaggi elettorali e media.
La conclusione è che per quantificare quanti punti percentuali vale l'acquisto di Balotelli o l'uscita su Mussolini o la performance di Berlusconi da Santoro forse più che ai sondaggi diffusi dai media converrebbe affidarsi all'oroscopo. Il problema è che, spiegano sempre i radicali, i sondaggi sono usati da tv e giornali per orientare l'opinione pubblica piuttosto che per informare.
I difetti metodologici dei sondaggi elettorali sono diversi, come spiega Romano Scozzafava, docente di calcolo delle probabilità alla sapienza.
Innanzitutto il campione, a dir poco irrisorio: 800-1000 persone, in pratica l'opinione di uno è ritenuta rappresentativa di 50mila elettori. Poi il metodo di rilevazione, che intercetta intercetta soprattutto le famiglie che hanno un telefono fisso, il 56% del totale. Inoltre il tasso di rifiuto è altissimo: circa l'80% più che sufficiente a metter e a rischio la rappresentatività del campione. Nella maggior parte dei casi poi non si sa nulla sulle domande rivolte all'intervistato: se cioè la risposta è libero oppure se viene sottoposta una lista predeterminata, in un tipo di indagine in cui le opzioni e l'uso o meno di risposte chiuse sono determinanti.
Il margine di errore infine è del 3% cioè quando scrivono che un partito è al 5% significa che la sua forchetta è tra il 2 e l'8% e quando ci dicono che un partito è aumentato dello 0,3% significa che due persone hanno cambiato opinione.
C'è poi un'altra questione: l'analisi delle comittenze. I grafici pubblicati dai radicali - relativi ai sondaggi pubblicati sui media nel 2012- mostrano un legame tra determinati sondaggisti e determinate fonti di informazione. E in Italia, come noto, ogni talk show o giornale è politicamente vicino a questo o quello schieramento.
Per fare un esempio basta considerare gli esiti attribuiti al "ritorno in campo" di Berlusconi: mentre i sondaggi di riferimento per il centro destra parlano già di notevole rimonta, quelli commissionati dai settori vicini alla sinistra tendono a sottovalutarne la ripresa.
Esiste un pericolo di "cattura" dell'istituto demoscopico da parte dei suoi committenti principali?
La serietà professionale può esistere a prescindere da qualsiasi commitenza, ma i cittadini -e i telespettatori- dovrebbero sapere se esistono eventuali conflitti di interesse.
Qualcuno sapeva, come pubblicato in un articolo de Il Fatto, che il capo della Tecnè, che lavora con l'Unità e Sky, era stato responsabile dell'ufficio elettorale dei Ds? O che una finanziaria della Regione Friuli Venezia Giulia possiede il 30% della SWG, che lavora con Rai Tre? O che il capo della Tecnè, che lavora con l'Unità e Sky, era stato responsabile dell'ufficio elettorale dei Ds? C'è poi Euromedia research, di Alessandra Ghisleri, che fa rilevazioni per Berlusconi e Ipsos, di Nando Pagnoncelli, che lavora con Ballarò .
Ma perché allora si continua a dare tanta rilevanza ai sondaggi? Per influenzare e manipolare l'opinione pubblica. La diffusione dei sondaggi, che non a caso è vietata nei 15 giorni precedenti le elezioni, si fonda sugli stessi meccanismi di persuasione su cui si fondano la pubblicità e le mode: le persone tendono a ritenere maggiormente validi comportamenti o scelte effettuate da un elevato numero di persone.
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