«I cani pagano con la loro vita il fatto di dover rimanere dentro al canile e non viene fatto niente per farli adottare perché dietro c’è il business del randagismo, per ogni cane la struttura riceve 3 euro e 50 al giorno, moltiplicato per 600 basta farsi i conti per capire di che cifra parliamo». A parlare è un’ex volontaria di un canile municipale che racconta cosa si nasconde dietro quelle gabbie sovraffollate e spesso sporche per carenza di personale.
«Ci sono canili dove vivono anche 600 cani che vengono gestiti soltanto da 4 inservienti con nessuna competenza cinofila. I cani vengono stallati dentro le gabbie, non escono mai e non c’è nessuna tutela del benessere animale», denuncia la donna. Una situazione di stallo che troviamo da Nord a Sud, come ci dice il dossier sul randagismo pubblicato annualmente dalla Lav. Come funziona questo business?
«La media della diaria giornaliera per ogni cane è di 3.50 euro per il rifugio e dai 10 anche 12 euro per la parte che riguarda il sanitario. Un giro di soldi incredibile che i Comuni versano direttamente ai gestori delle strutture», dice ancora. Parliamo, quindi, di soldi pubblici che però, in alcuni casi (senza fare di tutta l’erba un fascio), non vengono utilizzati per il benessere degli animali. Secondo l’ex volontaria, ci sono canili dove oltre 600 cani vengono gestiti da quattro operatori.
«Ci sono cani che dovrebbero essere accompagnati a morire e non vengono accompagnati perché anche quei 3,50 euro per quella settimana, per quei 15 giorni o il mese che il cane rimane in vita, sono soldi che vengono dati al gestore», continua. «E il gestore per fare questo gioco, elargisce soldi a una marea di persone: a volontari che si lasciano corrompere perché prendono soldi, alle associazioni, alcune non tutte per fortuna, che diminuiscono la quantità di uscita dei cani fino ai veterinari consenzienti».
Nelle gabbie sporche, i cani vivono ammassati, spesso non c’è tempo di farli uscire tutti. Si trasformano così in automi, ferendosi zampe e muso contro le recinzioni. Diventano aggressivi e spaventati. «Viene inoculato il microchip e se sono disponibili vengono fatti i vaccini, se non è disponibile viene fatto dopo o in alcuni casi prossimo all’adozione, mentre la sterilizzazione dipende dai canili, in alcuni vengono messi i maschi con i maschi, le femmine con le femmine, con tutto quello che consegue, tipo morsicature e sbranamenti». Ma non solo, in alcuni canili secondo l’ex volontaria viene proprio scoraggiata l’adozione.
«Molti non hanno una pagina internet del canile dove sono presenti le foto di tutti i cani, con i dati, il tipo di profilassi perché non c’è nessuno che si prende la briga di farlo», dice. E i volontari? «Ben graditi finché non si scopriva che avevano abbastanza contatti per poter tirare fuori un numero di cani importante e quando riuscivano a tirarli fuori c’era una lungaggine che veniva utilizzata per scoraggiare le adozioni».
Cosa succede nei cosiddetti canili lager lo denuncia da anni la onlus L’altra zampa con le immagini di repertorio che avete visto nel video. «Il problema è che non ci sono i controlli, perché chi dovrebbe farli, non li fa- spiega Giusi Teresano, presidente de L’altra zampa onlus- parliamo delle Asp territoriali. Il paradosso è che ci vorrebbero i controllori per chi è preposto a controllare».
Soprattutto perché, non è facile scoprire se siamo di fronte a un canile lager.
«Spesso i primi box, quelli esterni, sono tenuti bene per dare l’impressione di un canile in regola, ma quello che si cela dietro sono cani ammassati, gabbie sporche e animali tenuti in condizioni pessime», dice ancora l’altra zampa che ricordiamolo insieme a LNDC e Lav avevano denunciato gli orrori di due strutture nel catanese gestite dall’associazione Nova Entra.
Processo ancora in corso, ma in cui il Tribunale di Catania ha negato la costituzione di parte civile delle associazioni che avevano portato alla luce gli orrori. «Una situazione inspiegabile e paradossale», chiosa Teresano.
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