Tre misure di custodia cautelare in carcere, emesse dal G.I.P. del Tribunale di Foggia su richiesta della Procura della Repubblica. L’operazione denominata “Cavallo di ritorno”, ha portato all’arresto di tre soggetti pregiudicati originari di Monte Sant’Angelo (FG), ma residenti nei comuni di Manfredonia e Mattinata. Gli arrestati sono: La Torre Matteo, “terremoto”, di anni 43; Miucci Giuseppe, “Caradonna”, di anni 44; Colafrancesco Giuseppe di anni 46, tutti con precedenti penali. Diversi sono i reati contestati nell’ordinanza di custodia cautelare: estorsione; furto; ricettazione e violenza privata. A luglio e agosto 2013 furti di auto avvennero nel territorio di Monte Sant’Angelo. Cinque dei quali proprio nella località di Macchia di Monte Sant’Angelo; inoltre di queste 6 auto rubate, 3 erano state rinvenute tra le zone del quartiere Monticchio di Manfredonia e la confinante Macchia di Monte Sant’Angelo. Una persona, in sede di denuncia, riferiva che a seguito del furto della propria vettura, veniva avvicinata prima da una persona che gli diceva: “Se vuoi la macchina fatti vedere al bar a Monticchio”, ma non piegandosi alla richiesta ritrovava nella buca delle lettere un biglietto manoscritto dal contenuto minaccioso: “TE - LO - DICO PER – L’ULTIMA - VOLTA - SE - VUOI - LA - MACCHINA - VIENI – A – MONTICCHIO –DA – SOLO – ALTRIMENTI – FUOCHI CAPITO”. A seguito di tali pressioni e minacce la vittima del furto si vedeva costretta a versare la somma di euro 1.500 ad una persona identificata per uno degli arrestati, Miucci Giuseppe. Le indagini dei militari venivano, pertanto, indirizzate verso il soggetto individuato già gravato da diversi precedenti penali. Nel contempo gli agenti del Commissariato di Manfredonia, in seguito all'articolo, avevano iniziato a svolgere i primi accertamenti e le prime indagini sul fenomeno dei furti dei veicoli e dei successivi ritrovamenti “casuali” da parte dei proprietari. In particolare si stava già indagando sul furto di una vettura, avvenuto sempre nel rione Monticchio, per il quale il proprietario, il giorno successivo, dichiarava di aver rinvenuto il proprio veicolo “fortuitamente”. Grazie all’impianto di videosorveglianza cittadino ubicato nei pressi del luogo dove era avvenuto il furto, gli agenti del Commissariato identificavano in La Torre Matteo l’autore del furto. Considerando le modalità di rinvenimento del veicolo, si ipotizzava che il furto fosse servito allo scopo di poter avanzare una richiesta estorsiva nei confronti del proprietario, e quindi La Torre Matteo poteva essere uno dei soggetti coinvolti in tale fenomeno.
Ben presto le indagini condotte congiuntamente dai carabinieri e dalla polizia, iniziavano una serie di monitoraggi nei confronti di La Torre e Miucci. Nel corso delle indagini, durate circa due mesi, si è acclarato che La Torre e Miucci, insieme a Colafrancesco, si erano resi responsabili di innumerevoli episodi delittuosi: furti finalizzati alle successive richieste estorsive, ricettazione ed estorsioni.
Come riportato dal testo dell’articolo, le indagini hanno consentito di dimostrare che La Torre, Miucci e Colafrancesco erano soliti rubare autovetture di piccola cilindrata, più semplici da rubare. Le vittime dei furti, persone per lo più anziane, dopo il reato, venivano contattate ed a volte erano le vittime stesse che si rivolgevano agli autori del furto. A questo punto iniziava una vera e propria “trattativa” per stabilire la somma per la restituzione dei mezzi. Ovviamente La Torre, Miucci e Colafrancesco minacciavano ritorsioni nei confronti dei malcapitati qualora si fossero rivolti alle forze di polizia. Nel corso dell’attività di indagine si sono registrati anche episodi di estorsioni nei confronti di proprietari terrieri ai quali La Torre e Miuci, dopo avergli danneggiato e saccheggiato i casolari, chiedevano soldi in cambio della loro “protezione”.
Le indagini, coordinate dalla Procura di Foggia, condotte dai militari dell’arma e dagli agenti, consentivano di raccogliere numerosi indizi di colpevolezza a carico degli indagati. L'impianto accusatorio veniva condiviso dal G.I.P. Dopo le formalità di rito gli stessi venivano associati presso la casa circondariale a disposizione dell’autorità giudiziaria che ha emesso il provvedimento.
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