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Durata della permanenza di Pietro a Roma e data della sua morte
Una tradizione risalente al III secolo ricorda la permanenza di Pietro a Roma per 25 anni (dal 42 al 67 d.C.), come appare dalla Cronaca di Eusebio che nell'anno 2° dell'imperatore Claudio (a. 42) così dice:
"L'apostolo Pietro, dopo la fondazione della Chiesa di Antiochia fu mandato a Roma dove predicò il Vangelo e visse per venticinque anni".
Affermazione accolta pure da Girolamo:
"Siccome Pietro deve essere stato vescovo della Chiesa di Antiochia e dopo aver predicato ai Giudei che si convertirono nel Ponto, nella Galazia, nella Cappadocia, nell'Asia e nella Bitinia, il secondo anno dell'imperatore Claudio (a. 42)
andò a Roma per confutarvi Simone il Mago, e vi tenne la cattedra per 25 anni, ossia fino al 14° anno di Nerone. La sua morte fu seguita pochi mesi dopo da quella dell'imperatore, quale castigo divino, secondo una profezia ricollegata alla morte degli apostoli «Nerone perirà da qui a non molti giorni".
Oggi nessun studioso cattolico ammette che Pietro sia rimasto a Roma per 25 anni, poiché ciò contrasterebbe sia con la cacciata dei cristiani da Roma al tempo di Claudio, sia con la presenza di Pietro a Gerusalemme durante il convegno apostolico (ca. 50 d.C.). Si noti pure che, secondo Girolamo, Pietro venne a Roma per "smascherarvi il mago Simone", il che suggerisce un legame tra questa tradizione e le leggende di Simon Mago, per cui l'attendibilità di tale notizia ne risulta assai compromessa. Di più la tradizione e l'ipotesi della sua lunga permanenza a Roma è contraddetta da alcuni dati biblici indiscutibili.
Nel 42 Pietro lascia Gerusalemme per recarsi ad Antiochia dove Paolo lo trova poco dopo (At 12, 1s; Ga 2, 11).
Nel 40/50 v'è la riunione degli apostoli a Gerusalemme e in essa Pietro non parla affatto di un suo lavoro tra i Gentili, ma s'accontenta di riferire il fatto del battesimo di Cornelio. Sono Barnaba e Paolo che parlano invece della loro missione tra i Gentili (At 15, 7-11; cfr c. 17).
Nel 57 quando scrive ai Romani, Paolo, pur affermando di non voler lavorare in campo altrui, non dice affatto che la Chiesa era stata evangelizzata da Pietro, come sarebbe stato logico.
Nel 63/64, scrivendo le sue lettere dalla prigionia, Paolo mai allude alla presenza di Pietro457. Gli Ebrei desiderano sapere qualcosa di questa nuova "via" che è tanto avversata, come se nulla sapessero, il che sarebbe stato assurdo qualora Pietro fosse stato a Roma (At 28, 21-24).
Nel 64 d.C. v'è la persecuzione di Nerone con la probabile morte di Pietro. Ecco il brano di Tacito (ca. 60-120 d.C):
«Siccome circolavano voci che l'incendio di Roma, il quale aveva danneggiato dieci dei quattordici quartieri romani, fosse stato doloso, Nerone presentò come colpevoli, colpendoli con pene ricercatissime, coloro che, odiati per le loro abominazioni, erano chiamati dal volgo cristiani. Cristo, da cui deriva il loro nome, era stato condannato a morte dal procuratore Ponzio Pilato durante l'impero di Tiberio. Sottomessa per un momento, questa superstizione detestabile, riappare non solo nella Giudea, ove era sorto il male, ma anche a Roma, ove confluisce da ogni luogo ed è ammirato quanto vi è di orribile e vergognoso.
Pertanto, prima si arrestarono quelli che confessavano (d'essere cristiani), poi una moltitudine ingente -- in seguito alle segnalazioni di quelli -- fu condannata, non tanto per l'accusa dell'incendio, quanto piuttosto per il suo odio del genere umano. Alla pena vi aggiunse lo scherno: alcuni ricoperti con pelli di belve furono lasciati sbranare dai cani, altri furono crocifissi, ad altri fu appiccato il fuoco in modo da servire d'illuminazione notturna, una volta che era terminato il giorno. Nerone aveva offerto i suoi giardini per lo spettacolo e dava giochi nel Circo, ove egli con la divisa di auriga si mescolava alla plebe oppure partecipava alle corse con il suo carro. Allora si manifestò un sentimento di pietà, pur trattandosi di gente meritevole dei più esemplari castighi, perché si vedeva che erano annientati non per un bene pubblico, ma per soddisfare la crudeltà di un individuo».
Si può quindi concludere che Pietro non fu affatto il fondatore della Chiesa di Roma e che, se vi venne come oggi appare quasi certo, vi giunse solo per subirvi il martirio. E' il pensiero del pagano Porfirio, un filosofo neoplatonico, che di Pietro dice: «Fu crocifisso dopo aver guidato al pascolo il suo gregge per soli pochi mesi».
Questa conclusione di Fausto Salvoni, appare comunque improbabile, sia per la scarsità delle notizie sull'ipotetico ultimo viaggio di Pietro ( a Roma), sia per l'età avanzata: Pietro avrebbe dovuto affrontare un lungo e pericoloso viaggio senza alcun apparente scopo, se non per una sua inverosimile quanto improbabile vocazione al martirio!
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