Altro dalle motivazioni della sentenza “Depistaggio”: “Vincenzo Scarantino è un mentitore di professione. Bruno Contrada è stato il ‘diversivo giusto’ per nascondere le matrici non mafiose della strage”. Il servizio di Angelo Ruoppolo.
Altri dettagli nell’ambito delle motivazioni appena depositate dalla sezione del Tribunale di Caltanissetta presieduta da Francesco D’Arrigo e relative alla sentenza emessa al processo di primo grado sul depistaggio delle indagini dopo la strage di via D’Amelio contro il giudice Paolo Borsellino e i poliziotti di scorta. In riferimento al falso pentito Scarantino, i giudici scrivono: “Vincenzo Scarantino è un mentitore di professione: è un soggetto che mente dal 1994 e che ha deliberatamente deciso, a distanza di quasi 30 anni, di continuare ad offrire ricostruzioni arbitrarie, ondivaghe e false. Anche nell’odierno procedimento ha certamente prospettato una ricostruzione dei fatti che non può coincidere con la realtà, soprattutto nella misura in cui ha attribuito ‘in toto’ ad Arnaldo La Barbera in primis, e ai suoi uomini poi, la paternità di tutta una serie di sue dichiarazioni accusatorie che altro non potevano essere se non il frutto dei margini di autonomia – certamente ampi – che, per scelta o più probabilmente per necessità, gli vennero lasciati. Più che rappresentare una prova scivolosa da maneggiare con cautela, Scarantino rappresenta una prova insidiosa dalla quale è necessario prescindere a meno di non rimanere ostaggio delle altalene dichiarative del falso collaboratore. Proprio alla luce della sua costante ambiguità dichiarativa, risulta praticamente impossibile discernere quali siano le singole circostanze effettivamente suggerite e quali siano frutto della sua personale iniziativa, con la conseguenza che non è possibile attribuire con sicurezza una condotta ad un soggetto piuttosto che ad un altro. Nel corso di poco meno di un ventennio Scarantino ha fornito alle diverse autorità giudiziarie ricostruzioni divergenti, caratterizzate da un costante andirivieni di racconti, intrisi di circostanze radicalmente false e circostanze vere, dando vita a un’altalena di versioni che hanno reso oltremodo difficile 'valorizzare' le parti, poche ma certamente significative, davvero genuine del suo racconto”. I giudici poi si soffermano sulla presunta presenza di Bruno Contrada in via D’Amelio, poi smentita, e scrivono: “Ci si chiede perché in un arco temporale subito successivo alla strage ci sia dedicati a diffondere la notizia, poi rivelatasi falsa, della presenza di Bruno Contrada in via D’Amelio poco dopo l’esplosione? A vantaggio di chi? Alla luce di tutte le circostanze, si ritiene che se ne giovò chi aveva tutto l’interesse a far sì che le matrici non mafiose della strage di via D’Amelio (che si aggiungono a quella mafiosa) non venissero svelate nella loro reale consistenza. Come ben evidenziato da talune parti civili, Bruno Contrada era ‘il diversivo giusto’: un soggetto - nel frattempo caduto in disgrazia per le confidenze rivelate da Gaspare Mutolo al giudice Borsellino circa una contiguità di Contrada con l’organizzazione mafiosa – da collocare immediatamente sulla scena del crimine subito dopo l’esplosione”.
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