FOTE PUNTA CORBIN
L'opera corazzata di Punta Corbin, una delle più moderne e potentemente armate, della serie di forti destinata a proteggere il confine italiano da un'eventuale invasione austro-ungarica, è rimasta nella storia di alcuni dei corpi più prestigiosi di entrambi gli eserciti. Per la sua occupazione e un disperato tentativo di riconquista si batterono infatti da parte austriaca gli stiriani del 47° reggimento k.u.k., dall'altra i granatieri italiani del III battaglione del 2° reggimento appunto della Brigata "Granatieri di Sardegna", sostenuti da altri reparti della stessa unità. I primi, che si impadronirono dell'opera con la 9ª compagnia dell'alfiere Otto Götz alle 16.45 del 29 maggio, catturandovi quanto restava della guarnigione, una quarantina di uomini in tutto, ritennero tale conquista meritevole di essere iscritta nello stesso stemma del corpo, che da quel momento avrebbe avuto il profilo di un uomo con l'elmetto e sullo sfondo appunto le cupole disarmate del forte italiano. I secondi, che persero nel sanguinoso quanto vano contrattacco del 30 successivo, morti o feriti, il comandante di battaglione, maggiore Camera, quasi tutti i comandanti di compagnia (Tonini, Visdomini, Vinciguerra) e buona parte dell'organico di partenza, avrebbero legato luogo e battaglia alla morte del sottotenente Carlo Stuparich. Irredento triestino, arruolatosi con fratello Giani, poi prigioniero, e comandante del 3º plotone della 14ª compagnia, trovandosi isolato a qualche centinaio di metri di distanza dal forte, preferì il suicidio al rischio dell'impiccagione per alto tradimento, da cui i documenti falsi che lo indicavano come Carlo Sartori difficilmente lo avrebbero preservato.
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