Viviana e la sua mamma, Sabrina, ora sono a casa. Sono insieme, unite e forti come non mai. Hanno una storia da raccontare, l’esperienza con la malattia che hanno deciso di condividere.
Fino al mese di settembre, infatti, la loro “casa” era il reparto di Oncoematologia pediatrica dell’Ospedale Regina Margherita di Torino, un grande edificio rosa che ospita, al quinto piano, bambini e ragazzi in cura per tumori e leucemie. Per settimane, mesi, quei corridoi diventano cameretta, casa, scuola per i giovanissimi pazienti e per i loro genitori.
I SINTOMI DELLA MALATTIA
È Sabrina a raccontare. «Verso metà marzo Viviana ha iniziato a non sentirsi bene: era pallida e aveva poco appetito. “Mamma, sono solo stanca” mi diceva. Era in DAD, trascorreva molto tempo a seguire le videolezioni, pensavo dipendesse anche da quella situazione».
VERSO L'OSPEDALE
Poi il malessere di Viviana è diventato più violento. «Ha iniziato ad avere dolori alle gambe e a rimettere. L’ho portata dalla dottoressa, che ha prescritto degli esami del sangue. Ma non abbiamo fatto in tempo a farli: un giorno (me lo ricordo perfettamente: era il 22 marzo) ha iniziato a stare malissimo, pronunciava frasi sconnesse». Subito l’ambulanza e l’ospedale cittadino, dove, ricorda mamma Sabrina «è stata subito presa in carico con grande solerzia. L’hanno sottoposta a molti esami. Ho capito che era qualcosa di grave. Correvano tutti». In brevissimo tempo si sono ritrovate con tutti gli esami in mano, di nuovo in ambulanza, verso l’ospedale di Torino. «“Buona fortuna” ci ha detto il medico, guardandomi negli occhi».
LA DIAGNOSI DI LEUCEMIA
Arrivati all’Ospedale infantile Regina Margherita, dopo due giorni arriva anche la diagnosi: leucemia mieloide acuta. «Mi hanno spiegato a fondo che tipo di malattia era, l’iter che avremmo dovuto affrontare» racconta Sabrina. «Come l’ho presa? Non so ancora spiegarlo adesso. Appena me l’hanno detto, sono crollata. No, non ho pianto. Ma sono fatta così: quello che c’è da fare si fa». Poi l’hanno spiegato a lei, a Viviana. «Lei ha pianto». Ma poi mamma sorride e aggiunge: «Non so se per la malattia oppure perché le hanno detto che dal giorno dopo avrebbe potuto riprendere scuola! Scherzando, ce lo ricordiamo ancora adesso. Il medico le aveva spiegato tutto perfettamente: “starai qui parecchio tempo; sei malata, ma potrai seguire le lezioni anche da malata”».
IL CAMMINO DI CURA
Si vede che la loro forza è fatta anche di questo: ridere anche nei momenti duri. «Scherzi a parte – prosegue Sabrina - Viviana è stata forte. Girava senza cuffia o cappellino, “tanto i capelli poi ricrescono”; sorrideva; quando poteva, cantava». La terapia non è stata una passeggiata. «Per i primi tre cicli di terapia è stata così male che stava nel letto, senza muoversi, senza mangiare. Ha dovuto affrontare varie trasfusioni». In totale i cicli sono stati cinque. «Dopo – ci hanno spiegato i medici – ci sarebbe rimasto il trapianto di staminali».
DENTRO IL REPARTO
I lunghi mesi di cure sono trascorsi all’interno del reparto. Alla necessità di questi pazienti di essere in ambienti protetti si è aggiunta l’emergenza sanitaria della pandemia. «Da marzo a luglio siamo state a casa due giorni. Viviana, immunodepressa, non poteva assolutamente essere esposta al rischio di infezioni; il Covid ha complicato tutto e così anche io ho vissuto in ospedale con lei. I miei genitori hanno preso il cane, un’amica andava a controllare la nostra casa, dava le medicine al gatto; gli amici ci portavano la spesa…».
L'AIUTO DAGLI ALTRI
Anche in questa apparente reclusione, le relazioni diventano complicate, ma a volte straordinariamente intense. «C’erano persone, fuori, che ci sono state molto vicine. Anche fra gli amici di Viviana c’è chi le è stato accanto, anche in questa situazione, e chi non ne è stato capace». Un aiuto grande è arrivato da chi in ospedale ci lavora ogni giorno: «Tutto, ma proprio tutto il personale del quinto piano, dagli operatori delle pulizie alle OSS, alle infermiere fino ai medici e alla professoressa Fagioli che dirige il reparto, tutti sono persone meravigliose e con un tatto infinito. Verso i bambini, verso le mamme e i papà». Sabrina racconta di una direzione impeccabile da parte della professoressa Franca Fagioli, in un contesto molto complicato, dove le misure per proteggere bambini fragili e immunocompromessi sono diventate estremamente più severe a causa della pandemia. «Però trovava il tempo e il modo di far arrivare ogni giorno un caffè alle mamme chiuse nelle camere coi loro figli. Un pensiero carino, una coccola. E fa stare meglio, credetemi».
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