Nato a Bressanone nel 1944, incomincia la sua vita come un giovane comune: studi da geometra e iscrizione all’Università di Padova. Ma da subito l’attrattiva per la montagna si fa sentire e già negli anni sessanta, il suo nome comincia ad essere famoso per una serie di scalate in solitaria su pareti molto rischiose.
Da allora non si è più fermato fino a diventare una leggenda dell’alpinismo mondiale. I numeri delle sue imprese parlano per lui: circa 3500 scalate e di queste almeno 100 sono primati assoluti, vette dove nessuno era giunto prima in solitaria. Messner non ha mai amato messi artificiali per le sue imprese: il suo
rapporto con la montagna è intimo e personale, come con un’amica e così l’ha affrontata, senza vie di comodo, in inverno, con le condizioni peggiori e da solo con equipaggiamenti al minimo indispensabili.
L’amore per le scalate non nasce dal nulla: il piccolo Messner già a cinque anni affrontava le pareti montuose con il padre: erano le “Odle”, nelle vicinanze di Bressanone. Affronta anche le Dolomiti con il fratello Guenther, facendo crescere sempre più la passione per la montagna.
Ha scoperto così, una scalata dopo l’altra il “ghiaccio”, che sarà sempre una grande passione, che lo porterà alle pareti del Monte Bianco e da lì in altre vette nel mondo fino a scalare i 6.000 metri delle pareti delle Ande.
Il suo nome comincia ad essere riconosciuto, e riceve con il fratello, la proposta di aggregarsi ad una spedizione sul Nanga Parbat: un’ascesa da 8.000 metri; una follia per molti, ma per Messner l’apoteosi, anche se accompagnata da una tragedia personale. In quella impresa muore il fratello Guenther e a lui
costa l’amputazione delle dita dei piedi per congelamento.
E’ da qui che la sua fame di scalatore prende il volo per non fermarsi più. Nel mondo esistono quattordici vette che superano gli 8000 metri: le ha scalate tutte e senza l’ausilio di ossigeno.
Il dolore della tragedia, non ha diminuito in lui l’amore per la montagna e non ha mai abbandonato le sue scalate, né le lotte per difendere la “sua montagna” dagli scempi umani. E’ a questo punto della sua vita che decide di sfidare il baluardo peggiore: nel 1978 scala l’Everest e non come è stato fatto in precedenza, ma secondo le regole alpine e cioè senza aiuto di ossigeno. Ma non contento di questa grandissima impresa, nel 1980, decide di tornare sulla vetta dell’Himalaya ma in solitaria. Per lui la montagna è vita e come tale va studiata attraverso le imprese di alpinisti precedenti. E’ anche per questo che apre a Solda un
proprio museo dove raccoglie testimonianze, oggetti, ricordi di altri alpinisti che come lui avevano sfidato le montagne.
Ma Messner non è solo un grande alpinista, il termine che più gli si addice è quello di esploratore e come tale parte alla volta di un’altra impresa incredibile: attraversare l’Antartide passando per il Polo sud, in compagnia di Arven Fuch ma senza l’ausilio di cani o di mezzi a motore; solo muscoli e vento. E lo stesso fa con l’attraversamento della Groenlandia insieme al fratello Hubert nel 1993. Nel 2004, a sessanta anni attraversa il Deserto del Gobi, uno dei luoghi più ostili del globo: ci ha impiegato 8 mesi (circa 2000 Km) con una riserva di acqua di 25 litri.
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