“La Scinnenza del Venerdì Santo a Serradifalco” porta in scena gli ultimi momenti del Martorio di Cristo. Attraverso una sapiente reinterpretazione del “Riscatto di Adamo”, sono rappresentati gli attimi conclusivi della Passione di Cristo, attraverso l’incontro e la salita alla croce di Giovanni con Maria, Veronica e Maddalena, l’ingresso di Misandro, Nizech, Centurione e Longino, l’uccisione del Cristo in croce, l’ira dei sacerdoti, la deposizione dalla croce da parte di Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo, il pianto di Maria ed il
“riscatto di Adamo”.
Il I ATTO, introduttivo all’opera e molto contemplativo, è caratterizzato dalle prime tre scene dai dialoghi tristi, affettuosi e carichi di empietà di Giovanni con Maria e le pie donne, il lamento di Maria ai piedi della croce, “che spettacolo funesto si presenta innanzi agli occhi miei?!”, e la discesa verso il terrazzo della chiesa del Calvario ove, da lì a poco, arriveranno i sacerdoti, Misandro e Nizech, ed i soldati, Centurione e Longino.
Il II ATTO comprende le quattro scene centrali del dramma durante le quali i due sacerdoti, dopo l’ingresso trionfale, istigano e provocano Longino ad aprire il “… seno dell’infido Gesù Nazareno – cit. Misandro”. Longino, intimorito dagli epiteti incalzanti dei due sacerdoti, lascia “… ormai il timore” e vibra il “colpo a trapassargli il core –”.
Segue il pentimento di Longino che miracolato, “… già la luce smarrita all’occhio mio ritorna?!”, si converte e induce al pentimento anche Centurione, “ah, ben dissi io ch’Egli è il vero Messia, figlio di Dio!”.
Arrivano Nicodemo e Giuseppe D’Arimatea che portano a Misandro, su foglio di pergamena, la notizia inaspettata: “or or decise il Preside romano di dare sepoltura al Nazareno Gesù, e questo, da noi, esegui si dovrà – cit. Giuseppe”.
Misandro, carico di ira e collera, sfoga la sua rabbia contro tutti, “oh, dell’etere gran Nume … e soffro ancora?! Un fulmine non scende l’empio Ponzio a punir?”, ed insieme a Nizech, dopo ingiurie e minacce, esce di scena, affinché “a …Tiberio il re si portino le querele – cit. Misandro”, giurando “…al cielo che non giungerete al desiato disegno di seppellire il Nazareno indegno – cit. Nizech”.
Il III ATTO porta in scena l’epilogo finale dell’opera. Nelle tre scene conclusive è sintetizzata la drammaticità dell’opera, attraverso la deposizione del Cristo in croce ed il pianto disperato di Maria. Giuseppe e Nicodemo chiedono a Maria il permesso di poter deporre il Cristo dalla croce “Vergin dolente … permetti che il Figlio tuo insepolto non resti! A piede del monte, nuova tomba io serbo per il mio Gesù”. Deposto il Cristo, adagiato sul “cataletto”, Maria saluta per l’ultima volta Gesù, “Addio mia vita … questo bacio, o Figlio, è l’estremo che t’imprime il labbro mio” e, ridando
speranza annuncia all’umanità “mortali, il Figlio mio, fatto già è Salvatore. Redento è Adamo e trionfò l’amore”.
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