I seminari autunno-invernali di Rifondazione
relatore Antonio Mazzeo,
Discussant:
Mafe de Baggis
Marco Schiaffino
Francesca Fornario
Lunedì 2 dicembre 2024
Se parliamo di propaganda è immediato immaginare il controllo diretto sui mezzi di comunicazione da parte di un governo autoritario. La propaganda serve a controllare il pensiero, per poterlo indirizzare e manipolare a proprio uso. Noi stiamo vivendo questa situazione con il dramma di non considerare (ancora) il nostro governo come autoritario (in generale è un problema della società occidentale tutta, non solo italiano), anche se ci sono segnali di gestione della sicurezza che dovremmo considerare seriamente (vedi DDL 1660).
Ma il sistema richiede nuove narrazioni, la costruzione del consenso previo di fronte agli scenari di guerra permanente e a rischio globale.
Siamo ormai immersi in una propaganda da tempi di guerra, e forse non ce ne rendiamo conto fino in fondo.
Inoltre i contesti e i mezzi con cui agire la propaganda sono cambiati, migliorati e diventati ancora più pervasivi. Il controllo dell’immaginario, la modifica di codici di comportamento e simboli, la sensazione di avere tutta l’informazione del mondo con un solo click o di esserne addirittura artefici sono una parte di tutto questo. Insieme alle creazioni dell’intelligenza artificiale che rendono la capacità di distinguere la realtà dal falso sempre più difficile.
Viviamo in un mondo sempre più complesso, che ci viene raccontato come sempre più accessibile e fintamente democratico. È di pochi giorni fa la decisione di molte e molti di lasciare il social X in risposta alle dichiarazioni di Musk. Non solo singoli utenti, ma autorevoli testate. Un gesto di protesta sicuramente, ma spesso anche parlando di altri social, dimentichiamo che nel momento in cui ci iscriviamo accettiamo le regole che vengono imposte da un soggetto privato che ha come obiettivi ottenere profitto dalla nostra iscrizione e fare propaganda. Ecco che allora saper conoscere e riconoscere la propaganda diventa forse l’unico modo per sopravvivere in questa giungla di algoritmi, sapendo che ci sono davvero persone che ogni giorno formano la loro opinione basandosi su quanto appare loro sul cellulare o sullo schermo del pc.
In questo quadro, a febbraio scorso, il ministro della difesa Crosetto, appena assunto l’incarico, ha chiamato a sé 14 superconsulenti per dare vita al Comitato per lo sviluppo e la valorizzazione della cultura della Difesa. Non è una novità che il lavoro per creare i presupposti culturali che permettano la penetrazione di modelli militari nella società venga da lontano: i “nostri ragazzi” e le “nostre ragazze” sono protagonisti da tempo di spot pubblicitari in cui sono portatori di pace da un lato, e le forze armate formano nuove professioni dall’altro. D’altra parte aver tolto la leva obbligatoria costringe a “vendere un prodotto”.
Niente di nuovo: siamo passati dalle guerre umanitarie, con le bombe intelligenti, a uno stato di escalation di guerra che ormai ci riguarda da molto vicino, e in uno stato di propaganda permanente volta a renderla accettabile. Ma l’accelerazione di quanto accade ci obbliga ad interrogarci sulle nuove forme di comunicazione, di penetrazione e di sedimento, in senso negativo, della propaganda.
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