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LINFOMA NON HODGKIN: PER IL LINFOMA DIFFUSO A GRANDI CELLULE B DISPONIBILE TAFASITAMAB, ANTICORPO MONOCLONALE PER I PAZIENTI CHE NON RISPONDONO ALLE TERAPIE STANDARD E NON SONO CANDIDABILI AL TRAPIANTO AUTOLOGO DI CELLULE STAMINALI
PROF. ANTONIO PINTO, Istituto Nazionale Tumori Fondazione Pascale IRCCS, Napoli
I tumori del sangue sono una famiglia di neoplasie molto eterogenee, con caratteristiche biologiche e genetiche che oggi indirizzano le terapie in modo più preciso e mirato. Nel caso del linfoma diffuso a grandi cellule B, che rappresenta il tipo più frequente fra i linfomi non Hodgkin dell’adulto, stiamo parlando di una patologia che contiene al suo interno diversi sottotipi di malattia con caratteristiche molto diverse fra loro. Proprio per questo i protocolli terapeutici standard non hanno lo stesso successo in tutti i pazienti e per il circa 45% di loro che tende a non rispondere alle terapie inziali o va incontro ad una recidiva sono necessarie ulteriori cure. E’ quindi una notizia estremamente importante il fatto che recentemente il Comitato per i Medicinali per Uso umano dell’EMA l’Agenzia Europea per i Medicinali abbia espresso parere positivo su tafasitamab, un anticorpo monoclonale che utilizzato in combinazione con lenalidomide rappresenterà una nuova opzione terapeutica per pazienti con linfoma diffuso a grandi cellule B refrattario o recidivato non candidati al trapianto autologo di cellule staminali.
Abbiamo parlato di tutto questo con il Prof Antonio Pinto, Direttore della SC di Ematologia Oncologica dell’Istituto Nazionale Tumori, Fondazione Pascale, IRCCS, Napoli per comprendere meglio lo scenario terapeutico attuale e futuro. Fra i temi:
Una fotografia del linfoma diffuso a grandi cellule B e di quanto sia importante oggi profilare la malattia di ogni singolo paziente per individuare la firma genetica e il sottotipo di linfoma per terapie sempre più mirate.
Lo schema terapeutico standard che si segue oggi dopo la diagnosi, quindi in prima linea,
Per i pazienti che non rispondono alle terapie standar la disponibilità di tafasitamab rappresenta davvero una opzione importante. Quale è il meccanismo d’azione e cosa vuol dire che colpisce un bersaglio diverso rispetto ad altre molecole, in particolare l’antigene CD 19 invece del CD 20
Di fronte a dati così promettenti come quelli dimostrati da tafasitamab negli studi clinici in un setting avanzato il primo pensiero va ovviamente alla possibilità di utilizzarlo in setting più precoci e quindi in linee precedenti di trattamento, ci sono studi e dati in tal senso?
La ricerca oggi stia ampliando gli scenari di cura anche per pazienti che altrimenti avrebbero esaurito tutte le opzioni terapeutiche standard, quanto è importante poter dire ad un paziente che nel percorso di cura avrà a disposizione numerose chance, combinazione di farmaci, sequenze diverse, anche in caso di ostacoli e ricadute?
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