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Intervistati:
Dott.ssa Paola Comucci, ex docente diritto penitenziario dell'università Bicocca di Milano
Dott.ssa Anna Luisa Giustiniani, coordinatrice area educativa Rebibbia Nuovo Complesso
Giuseppe La Rosa, detenuto Ucciardone Palermo (detenuto a sinistra)
Giuseppe Leone, detenuto Ucciardone Palermo (detenuto a destra)
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L'articolo 27 della Costituzione prevede che:
La responsabilità penale è personale. L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.Non è ammessa la pena di morte.
E' partendo da questo articolo che inizia il nostro viaggio all'interno di 4 carceri Italiane, alla scoperta di come questi principi vengano o meno messi in pratica e del ruolo, delle forme e dei risultati della rieducazione durante il percorso carcerario.
Noi crediamo che un percorso rieducativo che favorisca il reinserimento del detenuto in una realtà non più chiusa tra le mura di un carcere, ma libera e incondizionata, possa giovare sia al carcerato che al cittadino comune, e per provare questa tesi abbiamo deciso di avviare tale progetto: dopo mesi di preparazione teorica, incontri con detenuti, educatori e costituzionalisti ora è il momento realizzare le prime riprese del documentario all'interno degli istituti detentivi.
Come già Darwin, con la sua teoria evoluzionistica, dimostrò il ruolo fondamentale che l'ambiente circostante gioca nell'evoluzione di un essere vivente, così si può affermare che una catena di giorni tutti uguali trascorsi in una cella sovraffollata e senza sfoghi non possa che incattivire chi è obbligato a viverla. A questo punto diventa inevitabile chiedersi se davvero il carcere abbia un'"utilità" per chi vi è condannato o per la società stessa che pensa di aver eliminato il problema nascondendolo sotto al tappeto, o se non sia altro che una sorta di buco nero, in cui la gente entra per non uscire più, la zona franca della città dove non importa quello che succede, ma che serve agli "onesti" cittadini per identificare e allontanare il "male".
La nostra risposta è proprio l'articolo 27, soprattutto il 3° comma, secondo il quale le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.
Dal 2001 al 2010 le carceri sono costate alla collettività (in termini di vitto e alloggio per i detenuti, ristrutturazioni, personale ecc..), circa 29 miliardi € (www.ristretti.it/commenti/2011/aprile/pdf/costo_carceri.pdf) : che benefici possono derivare alla società se un istituzione in cui investe così tanto opprime senza "creare" nulla, senza dare nuove possibilità? Se rimane solo un edificio scalcinato e colmo di persone abbandonate a loro stesse?
Lampante è quello che scrive l'ex Direttrice del carcere di Bollate, Dott.ssa Castellano, in questa intervista reperibile per intero su [ Ссылка ]:
"Due numeri a conforto di quanto affermato: il tasso di recidiva per chi "si fa la galera" fino all'ultimo giorno di pena è del 67%, quello di chi usufruisce di misure alternative nell'ultimo periodo è del 19%".
Come è possibile che certe carceri, tramite un percorso trattamentale che guidi una riabilitazione, riescano a diminuire drasticamente la recidiva, mentre in altre strutture rimane costante? Case di reclusione, case circondariali, come è possibile attuare in entrambe l'articolo 27 della Costituzione, modellandolo sulle diverse esigenze di chi vive il carcere (giovani, malati, madri, tossicodipendenti, anziani..)?
Domande che creano risposte e risposte che generano altre domande, incontri che non possono lasciare indifferenti, situazioni, lacune e speranze che riempiranno questo viaggio lungo e tortuoso.
Musica: Löhstana David-Cerises
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