Roma (askanews) - E' una lotta per la legalità combattuta attraverso il lavoro nelle terre confiscate alle mafie quella che intraprendono Stefano Accorsi, Sergio Rubini e Maria Rosaria Russo nella commedia diretta da Giulio Manfredonia "La nostra terra", nelle sale dal 18 settembre. Accorsi arriva dal nord e si trova per la prima volta a adoperarsi nell'antimafia sul territorio, mette insieme una sgangherata truppa di agricoltori, e riesce a coinvolgere anche l'ambiguo ex fattore del boss locale, interpretato da Rubini.
"Mi interessava il concetto di legalità perché è un concetto che si è un po' perduto, si è un po' sfumato. E questa è un po' la percezione che hanno i miei personaggi quando arriva la legalità, la vivono come un occupante, un proprietario illecito, poi attraverso Filippo scoprono che il concetto di legalità può essere anche portatore di valori positivi".
In chiave leggera viene raccontato un sud pieno di sfumature, con contraddizioni reali, con la mafia legata alla politica e alla burocrazia, ma popolato anche da ribelli idealisti.
"Il film secondo me ha il pregio di far arrivare una serie di messaggi importanti, come appunto quello della legalità, però in chiave lieve, e questo secondo me rende più facile che il messaggio colpisca nel centro".
Per Rubini nel suo sud, come nel film, la guerra più difficile è quella contro la mentalità mafiosa.
"Io ho un'amica che si è ammalata in Calabria, una ragazza giovane, che la prima cosa che ha fatto non è stata andare a trovare un bravo medico, ma si è rivolta ad un onorevole, perché ha pensato: lui mi porterà da un bravo medico, poi nel migliore ospedale... Bisogna scardinare questa mentalità. Il problema di questo Paese è questo".
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