Avevo diciotto o diciannove anni quando lessi per la prima volta "Memorie di Adriano", quello che è unanimemente riconosciuto non solo come il capolavoro di Marguerite Yourcenar, ma come uno dei capisaldi della letteratura del '900. All'epoca non avevo ancora la capacità di comprendere appieno la portata di una simile opera per cui mi rimase poco di quella prima lettura.
Ma quest anno ho deciso di provare a riprendere in mano questo libro e rileggerlo... solo per rendermi conto di star leggendo per la prima volta queste parole vergate dalla Yourcenar; parole con cui lei racconta non solo la sua visione di uno degli imperatori romani più colti della storia dell'impero romano, ma anche il momento cristallizzato tra l'epoca classica, con i suoi culti pagani, e l'inizio dell'epoca in cui prenderà piede il cristianesimo.
Attraverso la finzione narrativa di una lettera che un anziano Adriano scrive ad uno dei suoi co-eredi, il giovane Marco Aurelio, la Yourcenar racconta la storia di un'anima che, sul finire della sua vita, rende conto delle sue azioni passate, si interroga su quanto resterà del suo mondo, lotta contro le amarezze degli ultimi anni e si aggrappa a quei pochi barlumi di luce e di gioia che hanno fatto la differenza nella sua intera esistenza.
Non proprio un romanzo storico dal momento che è evidente che non era quello l'intento della Yourcenar, sebbene l'impianto sia il più storicamente accurato possibile, quanto un'analisi profonda di come la vita ti cambia e di cosa essa ti lascia.
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