Con il decreto legge n 14 del 9 marzo 2020, approvato insieme al lockdown, il governo ha istituito le Usca, le unità speciali di continuità territoriale con il fine di assicurare ai malati covid un’adeguata assistenza domiciliare sgravando da questo compito i medici di famiglia e i pediatri, già fortemente colpiti dall’enorme carico di lavoro ordinario e straordinario. Lo scopo delle Usca è anche quello di poter continuare a curare i pazienti covid, con sintomi lievi, a casa, senza perciò ospedalizzarli. Il decreto ne stabilisce anche le quantità per ogni regione ovvero una unità ogni 50 mila abitanti per un totale di 1200 unità su tutto il territorio nazionale. Ad aprile nel Lazio vengono create le Uscar, la “r” finale sta per regionale, e hanno il compito di effettuare tamponi nei grandi focolai (si muovono, in piena emergenza a Nerola, il primo grande focolaio laziale), poi al porto di Civitavecchia e all’aeroporto di Fiumicino per testare i vacanzieri di rientro e solo con l’arrivo della seconda ondata si occupano di fare le visite domiciliari. “Queste non sono le Usca di cui abbiamo bisogno, dovremmo poter mandare l’unità a casa dei pazienti senza ammalarci noi” denunciano però i medici di famiglia tra cui il presidente uscente dell’Ordine Filippo Anelli che hanno presentato, e vinto, due ricorsi al Tar.


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