adoro alcune poesie di Giovanni Pascoli (1855-1912) tra cui: Le ciaramelle, l'ora di Barga, La mia sera, la voce, 10 agosto, la befana.
Le ciramelle sono le zampogne o cornamuse
Questa è una recensione della poesia che ho trovato in internet:
Cosa sono le ciaramelle per Giovanni Pascoli? Nella poesia intitolata Le ciaramelle, il poeta narra di sentire “liquefarsi l’anima” al loro suono che lo riconduce ai ricordi soavi d’infanzia. Le ciaramelle hanno, in breve, per Pascoli la stessa funzione delle madeleine proustiane, ovvero una forza evocativa senza eguali, attivano all’istante la memoria involontaria creando un collegamento diretto con il passato. Le “ciaramelle” sono il suono natalizio per eccellenza, la melodia antica e malinconica delle zampogne che sembra salire dalla notte santa come il canto dei pastori in omaggio al bambino divino. Il suono delle ciaramelle crea dunque un collegamento diretto con l’immaginario del fanciullino, tematica chiave della poesia pascoliana.
Il Natale nell’infanzia conserva un’aura inspiegabile di magia e di mistero che Giovanni Pascoli riesce a rendere palpabile in questa suggestiva poesia sonora, Le ciaramelle, che ha il ritmo vivace di una filastrocca in cui sono le rime a scandire il senso del verso, ma, malgrado la sua musicalità, è in realtà una lirica malinconica carica di echi leopardiani.
Udii tra il sonno le ciaramelle,
ho udito un suono di ninne nanne.
Ci sono in cielo tutte le stelle,
ci sono i lumi nelle capanne.
Sono venute dai monti oscuri
le ciaramelle senza dir niente;
hanno destata ne’ suoi tuguri
tutta la buona povera gente.
Ognuno è sorto dal suo giaciglio;
accende il lume sotto la trave;
sanno quei lumi d’ombra e sbadiglio,
di cauti passi, di voce grave.
Le pie lucerne brillano intorno,
là nella casa, qua su la siepe:
sembra la terra, prima di giorno,
un piccoletto grande presepe.
Nel cielo azzurro tutte le stelle
paion restare come in attesa;
ed ecco alzare le ciaramelle
il loro dolce suono di chiesa;
suono di chiesa, suono di chiostro,
suono di casa, suono di culla,
suono di mamma, suono del nostro
dolce e passato pianger di nulla.
O ciaramelle degli anni primi,
d’avanti il giorno, d’avanti il vero,
or che le stelle son là sublimi,
conscie del nostro breve mistero;
che non ancora si pensa al pane,
che non ancora s’accende il fuoco;
prima del grido delle campane
fateci dunque piangere un poco.
Non più di nulla, sì di qualcosa,
di tante cose! Ma il cuor lo vuole,
quel pianto grande che poi riposa,
quel gran dolore che poi non duole;
sopra le nuove pene sue vere
vuol quei singulti senza ragione:
sul suo martòro, sul suo piacere,
vuol quelle antiche lagrime buone!
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