REGGIO CALABRIA. Ci sarebbero i “vertici strategici” di cinque famiglie di ‘ndrangheta fra i destinatari delle 19 misure restrittive emesse dalla Dda nell’ambito dell’operazione “Sistema Reggio” eseguita dalla Polizia. Le cosche interessate dai provvedimenti sono quelle riconducibili alle famiglie De Stefano, Franco, Rosmini, Serraino e Araniti. Sono finiti in manette, in particolare, l’avvocato Giorgio De Stefano di 68 anni, già condannato per concorso esterno in associazione mafiosa ed indicato nelle intercettazioni come massimo referente della cosca; Roberto Franco, di 56 anni, indicato dagli inquirenti come il capo dell’omonima famiglia mafiosa federata ai De Stefano; Domenico Stillitano, di 54 anni, e il fratello Mario Vincenzo, di 50, rappresentanti apicali, sempre secondo l’accusa, della stessa famiglia, alleata della cosca Condello; Antonino Araniti di 38 anni e Giovanni Sebastiano Modafferi di 39, indicati come elementi di spicco della cosca Araniti federata ai Condello; Antonino Nicolò, di 64 anni, elemento di rilievo della cosca Rosmini federata ai Condello; Dimitri De Stefano di 43 anni, considerato esponente di spicco dell’omonima cosca, fratello di Giuseppe, 47 anni, attualmente detenuto e considerato il “capo crimine” di Reggio Calabria. L’operazione “Sistema Reggio” è partita dall’attentato compiuto la notte dell’11 febbraio 2014 contro il bar Malavenda del quartiere Santa Caterina. La struttura era stata devastata da un’esplosione che aveva distrutto anche una minicar in sosta nelle vicinanze. Il primo marzo seguente fu trovato un altro ordigno, questa volta inesploso, nello stesso punto e dello stesso tipo di quello scoppiato a febbraio. Le indagini, condotte dalla Squadra Mobile, si sono basate essenzialmente sui risultati delle intercettazioni telefoniche, ambientali e delle riprese video disposte dalla Direzione Distrettuale Antimafia. Gli elementi acquisiti dagli inquirenti, grazie alle attività tecniche, avrebbero consentito di ricostruire non solo le dinamiche criminali relative al duplice attentato del Bar Malavenda, con l’individuazione dei mandanti, ma anche di risalire ai contesti mafiosi riconducibili ai due più potenti “casati” di ‘ndrangheta operanti nella città di Reggio Calabria, facenti capo alle famiglie De Stefano e Condello, entrambi dominanti ad Archi ed in altri quartieri del centro città, fra i quali Santa Caterina. “Da questa indagine emerge uno spaccato in cui la ‘ndrangheta, a dispetto delle ‘guerre’ che hanno insanguinato le strade della città, assume il ruolo di ‘regolatore preventivò, cioè decide chi deve e dove aprire un nuovo esercizio commerciale, le persone da assumere e le imprese che devono eseguire le ristrutturazioni”. Lo ha detto il Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho, incontrando i giornalisti in merito all’operazione “Sistema Reggio” che ha portato all’arresto da parte della polizia di Stato di 17 persone. “Con l’intervento dell’avvocato Giorgio De Stefano, detto ‘il massimo’ – ha detto ancora il Procuratore di Reggio Calabria – finisce anche la ‘dinamica dinamitarda’ ai danni delle vittime delle attività estorsive delle cosche”. Al centro dell’inchiesta della Dda di Reggio Calabria che ha portato gli arresti c’è l’estorsione messa in atto ai danni dei proprietari del bar Malavenda, che l’omonima famiglia aveva deciso di vendere. Lo storico locale di Reggio Calabria fu acquistato da Antonino Nicolò, detto ‘pasticcino’, genero del boss Alessandro Serraino. “Diciamo che le indagini – ha detto ancora Cafiero de Raho – sono iniziate con la prima bomba sotto la saracinesca del ‘Malavenda’ nel febbraio del 2014, dopo che il locale era stato ceduto da Nicolò ad un rappresentante di dolciumi, Domenico Nucera, il quale si trovava in difficoltà perché pressato dai fratelli Mario e Domenico Stillitano, vicini al boss Pasquale Condello, i quali in quanto titolari di un altro locale, il ‘Fashion bar’, osteggiavano la riapertura del ‘Malavenda’. Nucera iniziò allora una sorta di ‘pellegrinaggio’ tra le diverse cosche della ‘ndrangheta, dai De Stefano, ai Rosmini, ai Condello, ai Serraino, agli Araniti, fino a che De Stefano diede il suo consenso alla riapertura del ‘Malavenda’”. “L’operazione – ha detto il capo della Squadra mobile di Reggio Calabria, Francesco Rattà – mette il sigillo su un dato condiviso dall’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Domenico Minniti: la ‘ndrangheta asfissia il territorio gestendo percorsi che ne simboleggiano il forte potere di interdizione”.
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