Condannati per non aver capito la sensibilità e la sofferenza della figlia, ma anche per averla maltrattata attraverso una continua deprivazione affettiva e annientamento della personalità. Passati tre mesi dalla condanna a 3 anni e 4 messi di Rosita Cenni e Roberto Raffoni, genitori di Rosita, la 16enne che si suicidò buttandosi dal tetto del Liceo Morgagni di Forlì nel giugno del 2014, sono state depositate le motivazioni con le quali la Corte d’Assise è arrivata alla decisione finale. Un fascicolo di 141 pagine contenenti i fatti e le testimonianze avvenute durante le tante udienze davanti alla Corte. In aula i testimoni hanno evidenziato il clima familiare di indifferenza e mancanza di stima nei confronti di Rosita, una situazione, si legge nelle motivazioni, “di deprivazione affettiva e di svalutazione della personalità...”. I genitori, quindi, non sarebbero stati in grado di cogliere le fragilità e le richieste di attenzione della figlia. Tale comportamento non è stato letto dai giudici come educativo bensì come repressivo. In particolare il diniego al cosi ambito viaggio in Cina, ottenuto dalla giovane a causa dei suoi eccellenti voti a scuola oltre ad una serie di pressioni psicologiche che hanno portato Rosita a non vedere una via d’uscita. All’interno delle motivazioni anche la spiegazione del perché il padre è stato assolto dall’istigazione al suicidio. Roberto Raffoni, il solo che aveva questa imputazione, è stato assolto per difetto dell’elemento soggettivo. Infine i giudici hanno evidenziano come i genitori non abbiano modificato il proprio comportamento di fronte all’evidente sofferenza della figlia, non escludendo la mancanza di comprensione da parte dei due della gravità della situazione.
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