L'Italia, com'è noto, entrò nel primo conflitto mondiale quasi un anno dopo l'inizio delle ostilità, dopo aver condotto faticose e contraddittorie trattative diplomatiche con entrambi gli schieramenti in guerra, e attraverso una drammatica crisi politico-istituzionale interna, che divise il paese fra "interventisti" e "neutralisti". E da allora non si è mai finito di discutere, sul piano storico e politico, del significato e delle conseguenze di quei passaggi: la guerra fu una tragedia assoluta, alla quale si deve sostanzialmente anche il successivo trionfo del fascismo, o fu comunque una "tragedia necessaria", che contribuì -- malgrado tutto -- a far crescere economicamente e socialmente il paese? Ancora oggi, secondo me, i giudizi e gli atteggiamenti mentali prevalenti nei confronti della Grande guerra oscillano ambiguamente fra questi due poli.
Il giudizio sull'intervento dell'Italia e sul significato della partecipazione italiana alla guerra non può però prescindere, a mio giudizio, da un'analisi -- sia pure in forma sintetica -- della situazione complessiva del paese in quella fase storica: del suo grado di sviluppo economico, dei rapporti di forza tra le classi sociali (e all'interno di ognuna di esse), delle caratteristiche del sistema politico-istituzionale, delle contraddizioni che dividevano i gruppi di potere e le élites politiche. L'Italia era all'epoca una potenza capitalistica di media importanza, dallo sviluppo economico e civile accelerato e piuttosto recente, la quale ambiva però a un ruolo di primo piano nel quadro degli equilibri imperialistici internazionali (e lo aveva dimostrato, tra l'altro, nel 1911-12 con la cosiddetta guerra di Libia, che era stato il più diretto fattore scatenante delle guerre balcaniche).
Lo scoppio del conflitto tra le grandi potenze europee determinò quindi una grave crisi interna, perché pose il governo, le principali forze economiche e politiche, la Corona, l'esercito, di fronte a un dilemma angoscioso: restare fuori dal conflitto e cercare semmai di sfruttare la situazione per acquisire qualche vantaggio (ma rischiando di essere tagliati fuori dai nuovi equilibri che inevitabilmente la guerra avrebbe prodotto), oppure entrare decisamente nel conflitto, tentando di imporsi davvero come "grande potenza"?
Di fronte a questo dilemma le classi dirigenti italiane, nel senso più ampio del termine, si divisero profondamente e violentemente, anche per la forte preoccupazione per l'atteggiamento delle classi proletarie e popolari, e delle loro organizzazioni. Prevalsero gli interessi dei grandi gruppi industriali e bancari, uniti a quelli della Corona e dell'esercito, e il ceto politico liberale si spaccò in maniera clamorosa, mettendo sostanzialmente in un angolo l'ex presidente del Consiglio, Giovanni Giolitti (il dominus della vita politica nel decennio precedente). Questa operazione, tuttavia, non avrebbe potuto avere successo, senza l'entusiastico concorso di una parte consistente dell'opposizione (le aree democratico-radicale e repubblicana pressoché al completo, e alcune componenti, ancorché minoritarie, del movimento socialista e di quello sindacale), dei ceti medi e di quasi tutta l'intellettualità italiana (fu emblematico, in questo senso, l'impegno politico, populistico e agitatorio, di D'Annunzio). E la guerra in effetti fu vinta, grazie a questo blocco sociale d'ordine, fortemente e persino ossessivamente antipacifista e soprattutto antisocialista, giacché il Psi, sia pure attraversato da tensioni fortissime, restò sostanzialmente unito per tutto il periodo bellico. Il che però non impedì, alla fine del conflitto, che tutta una serie di nodi venissero immediatamente al pettine, aprendo una delle fasi più convulse e violente di tutta la storia nazionale, che doveva infine sfociare nel tracollo dello Stato liberale e nell'affermazione del fascismo.
La relazione cercherà quindi di tracciare un quadro complessivo della partecipazione italiana alla guerra, toccando sinteticamente i seguenti punti:
la situazione interna e la collocazione internazionale dell'Italia allo scoppio della guerra;
la scelta della neutralità e le divisioni tra "interventisti" e "neutralisti";
la rottura di Mussolini con il Partito socialista e il tentativo di spaccare i movimenti proletari;
le "radiose" giornate del maggio 1915 e l'entrata in guerra;
la mobilitazione industriale, militare e civile del paese;
Caporetto e l'ultimo anno di guerra;
le conseguenze della vittoria e l'apertura della crisi postbellica.
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