UN GOSSIP SORDELLIANO
Nella descrizione dei penitenti della valletta, regnanti e nobili dell'Europa, Dante usa anteporre anche se non in modo eccessivo, ma notabile, tratti fisionomici dei reali, come se avesse davanti agli occhi la raffigurazione plastica e scultorea dei personaggi ivi citati: ecco allora il "barbuto" Venceslao, figlio di Ottacchero; ecco ancora il "nasetto" di Filippo III, re di Francia; immaginiamo il "membruto" Pietro III d'Aragona e il "maschio naso" di Carlo I d'Angiò, chiamato anche "nasuto" al vv.124.
Insomma, è come se si divertisse a scolpirli attraverso tratti somatici caratteristici, con degli attributi o soprannomi forse ricorrenti sulla bocca del popolo o trae ispirazione dal "planh" sordelliano?
Ma chi è Sordello?
Sordello di Goito (Sordellus de Godio) è un nobiluomo mantovano che Dante conosceva bene per aver letto certamente le sue opere in lingua d'oc; è citato nel De Vulgari Eloquentia "ut Sordellus de Manta sua ostendit..." come dicitore in lingua provenzale.
I commentatori antichi invece lo conoscevano ancor meno: tutti dicono che era di Mantova, "uomo di corte e dicitore di lingua provenzale" lo descrive Jacopo della Lana, "uomo di corte" l'Ottimo, per Pietro Alighieri "dominus", per Benvenuto "civis mantuanus" nonché "miles e "curialis". Compose un poemetto didascalico di 1327 ottonari dal titolo "Ensenhament" e scrisse anche un "planh" (compianto funebre in versi) che il Tommaseo mise in rapporto diretto con il canto dantesco; in questo "planh" si invitano i più importanti signori del tempo, l'imperatore con appresso i re dell'Europa occidentale, Francia, Inghilterra, Castiglia, Aragona, Navarra, più i conti di Tolosa e di Provenza, a mangiare una parte del cuore del morto per acquistare il coraggio necessario per vendicare ognuno di loro i torti subiti e lasciati invendicati, insomma li accusa di pusillanimità e di eccessiva accondiscendenza, li vorrebbe l'un contro l'altro armati, non a pregare insieme come li mette Dante, il quale, per stendere il sesto e settimo canto del Purgatorio, ha preso spunto dal "compianto" di Sordello capovolgendo le sue motivazioni: l'apostrofe all'Italia e la valletta dei principi ben aderiscono allo spirito impulsivo e leonino di Sordello, difatti i principi della valletta sono puniti perché un difetto di energia li ha spinti troppo tardi ad accorgersi del male che andavano seminando, allo stesso modo il poeta fiorentino li accoppia a due a due a dimostrazione che nell'al di là le ragioni mondane perdono interesse, ribaltando quindi l'esito auspicato da Sordello che invece li voleva in guerra: Luigi IX vs Ferdinando III, Tebaldo I di Navarra vs Luigi IX e sempre contro costui Raimondo VII conte di Tolosa.
Insomma, cosa succede a Dante con Sordello?
Accetta lo schema allegorico del "planh" del mantovano, risceneggia nella valletta verde e fiorita l'adunata dei re sordelliani, ma capovolge esiti e scopi: l'alta nobiltà di Sordello, che chiama sempre a tensioni, è sostituita dalla necessità della concordia nelle relazioni umane, pertanto a due a due i personaggi penitenti danteschi cantano per espiazione.
Si è già visto nella chiosa del canto X dell'inferno come l'accompagnarsi dell'anima per un certo tratto del viaggio significhi l'influenza che il personaggio stesso accampa nei confronti del testo, pertanto si può ben vedere come Sordello s'intrattenga con i due poeti dalle tre del pomeriggio fino alle sette e mezza di sera, indi ci fa un gossip sui regnanti nasuti e nasetti, membruti e e barbuti, insomma si può con ragione affermare che i canti VI, VII e VIII sono i canti di Sordello, infatti qui egli fa il padrone di casa pettegolo
canto VII purgatorio
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