Conferenza di Laura Valli, autrice del libro+carte La psicologia dei Tarocchi, disponibile a questo link: [ Ссылка ]
La psicologia dei Tarocchi – Alla scoperta del linguaggio archetipo degli Arcani Maggiori è una narrazione che conduce il lettore a esplorarne l’origine e lo induce a fare propri i miti, le leggende, le immagini che popolano l’irrazionale di tutti. Esplorarli significa capire di più se stessi e il mondo in cui viviamo.
Lo studio degli archetipi è sempre stato esclusivo, riservato agli specialisti del settore, agli psicanalisti, agli studiosi di simboli e più generalmente a coloro che facevano dell’inconscio il proprio lavoro.
La sfida del libro è quella di portare al pubblico un nuovo modo di leggere i Tarocchi, accessibile a tutti.
Ma qual è l’origine di questo metodo per concretizzare le immagini e razionalizzare le energie che fluiscono nel nostro inconscio?
Nel 1913 Uspenskij, l’allievo più importante del noto Gurdjieff, importante filosofo e mistico, scrisse il libro Il simbolismo dei Tarocchi – Filosofia dell’occultismo nelle figure e nei numeri.
In questa pubblicazione, Uspenskij introdusse un codice metafisico in cui teorizzò che ogni simbolo riguarda l’anima dell’uomo e dunque la psiche di tutti noi.
La sincronicità sta nel fatto che nello stesso anno Jung, dopo un litigio con Freud, sperimentò una fase di crisi del pensiero personale. Jung aveva da poco avuto l’intuizione che, oltre all’inconscio individuale, esiste un inconscio collettivo, ossia quella parte di inconscio umano che è comune a quello di tutti gli esseri umani, di ogni tempo e cultura, appartenente alle civiltà stesse. Tuttavia, non era ancora riuscito a dimostrare l’efficacia della sua teoria dal punto di vista medico-scientifico.
Nel 1926 un amico sinologo, esperto di cultura e lingua cinese antica, gli fece recapitare un testo taoista alchemico, Il segreto del fiore d’oro, affinché lo valutasse in qualità di psicoanalista. Jung, durante la lettura, ebbe un’illuminazione: molte delle immagini che visualizzava nella psiche dei suoi pazienti erano presenti in questo testo antichissimo, appartenente a un’altra civiltà, lontana nel tempo e nello spazio. Ecco, dunque, la chiave dell’esistenza di un inconscio che appartiene a tutti, densa di immagini che Jung definirà archetipi. Arché vuol dire immagine, principio originario; tipo significa colpo, impronta. Questa parola, archetipo, presuppone che vi sia qualcosa che può essere impresso.
I Tarocchi sono archetipi. Studiare i Tarocchi come archetipi non darà un quadro matematico preciso, poiché ogni archetipo è suscettibile di sviluppo e ha differenziazioni infinite; studiare i Tarocchi richiede una capacità d’astrazione simbolica che fa parte dell’anima.
Esattamente come gli alchimisti, per Jung lo scopo dell’esistenza è diventare se stessi mediante un processo di individuazione per diventare la personalità che potenzialmente si possiede fin dalla nascita, attraverso uno sviluppo psicologico completo. Il risveglio, chiamato solificatio dagli alchimisti del ‘600, è l’aspetto irripetibile, del tutto personale, del processo di liberazione che passa per la natura che concerne la materia.
Dopo questa scoperta, tra il 1936 e il 1937, Jung cominciò a scrivere diversi saggi sulla psicologia e l’alchimia.
Un anno dopo Uspenskij, uno dei maggiori esponenti dell’alchimia psicologica moderna, fonda la sua società storica psicologica.
Entrambi, nello stesso periodo, hanno avuto la grande intuizione che ogni uomo diventa unico di per sé e deve raggiungere da solo il proprio compimento, la propria realizzazione: si tratta del principio di unicità.
Il libro segue la teoria junghiana: ogni archetipo ha all’inizio una storia, che può essere tratta da un testo letterario, filosofico o da una leggenda, che racconta dell’archetipo e in cui il lettore può immedesimarsi, trattandosi di qualcosa che già conosce, al quale l’inconscio riesce a legarsi. Ogni archetipo non è conosciuto di per sé, lo conosciamo attraverso le immagini e i racconti che trasmette alla nostra anima. Di seguito viene spiegato il perché di determinate circostanze utilizzando gli elementi della psicologia junghiana. Ogni archetipo pone domande precise, che variano molto dall’uno all’altro. Pensiamo dal profondo del nostro cuore a un problema che vogliamo sviscerare, leggiamo la carta e facciamoci le domande che l’archetipo ci pone: questo farà confluire dentro di noi energie sconosciute, ci mostrerà punti vista nuovi su varie questioni, mai presi in considerazione prima. Dopodiché prendiamo un’altra carta e percepiamo le energie che vengono richiamate dall’archetipo successivo.
I Tarocchi junghiani non servono per prevedere il futuro, ma per costruirlo; sono strumenti di meditazione e di analisi, non uno strumento predittivo.
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