Il 9 ottobre 1982 la comunità ebraica venne colpita da un commando di terroristi palestinesi con granate e colpi di mitragliatrici alla sinagoga di Roma: morì un bimbo di due anni e quaranta persone rimasero ferite. Ecco il racconto di quella giornata nella parole di Stefano Di Castro, allora ventiduenne, sopravvissuto all’attentato nonostante le molte ferite gravi riportate. Un giorno che Di Castro vuole ricordare ogni anno portando in sinagoga il trench che indossava il 9 ottobre 1982, con i buchi delle schegge che trafissero il suo corpo. «Capimmo subito che si trattava di un attentato, avevo 22 anni ed ero con alcuni amici. Nei giorni precedenti c’erano stati altri attentati in Europa. Io fui colpito dalle schegge della prima bomba, che mi perforarono i polmoni. Riportai molte ferite gravi. Da quel giorno, ogni anno, indosso lo stesso trench a testimoniare il dolore ma anche la voglia di verità e giustizia, perché per quell’attentato nessuno ha pagato nemmeno con un giorno di carcere». «Dal 9 ottobre 1982 mi è rimasto il vuoto - dice Daniela Gai, madre dell’unica vittima dell’attentato, il piccolo Stefano Gaj Taché di due anni, parlando all’esterno della sinagoga dove anche oggi si è ricordato quel giorno alla presenza del presidente Mattarella - . C’è voglia di speranza e di guardare al futuro, ma io ancora cerco la verità su quanto è accaduto».
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