Nel gennaio del 1943, nella battaglia di Nikoalevka, i battaglioni da montagna italiani vengono circondati e falcidiati dalle mitragliatrici dell'Armata Rossa. E' l'ultimo atto della disastrosa campagna di Russia, iniziata da Hitler nell'estate del 1941 con l'Operazione Barbarossa. Doveva essere un'altra guerra lampo, come quella che aveva portato alla conquista della Francia.
Invece, seppure la Germania schieri 3 milioni di uomini, 3550 carri armati e 4 mila aerei, non riesce a sconfiggere il nemico. Stalin adotta la stessa strategia che il generale Kutuzov aveva impiegato contro Napoleone duecento anni prima: i russi indietreggiano, lasciando terra bruciata, e smontano pezzo a pezzo oltre 1500 fabbriche. Così, mentre i tedeschi si impantanano nel primo inverno tra 1941 e 1942, i russi si riorganizzano.
La stagione a cavallo tra 1942 e 1943 è ancora più disastrosa. La Wermacht non ha più rifornimenti, i contingenti italiani inviati da Mussolini (Csir, Corpo di spedizione in Russia, e Armir, Armata italiana in Russia) sono mal equipaggiati e impreparati a combattere nelle sterminate pianure innevate.
A metà dicembre la controffensiva russa è devastante.
Gli italiani sono sbaragliati sul Don, i tedeschi perdono Stalingrado. Oltre 40 mila Alpini iniziano il cammino verso casa ma, a Nikolaevka, sono circondati.
Saranno molto pochi coloro che ce la faranno: tanti, scampati alle pallottole e alle cannonate, cadranno assiderati, vittime del gelo e della fame.
Di alcuni verrà ritrovata solo la piastrina militare decenni dopo la fine della guerra.
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