Lucio Anneo Seneca (Cordova, 4 a.e.v. – Roma, 65 e.v.) fu filosofo, drammaturgo e politico romano, esponente dello stoicismo eclettico di età imperiale (nuova Stoà). Attivo in molti campi, fu senatore e questore durante l'età giulio-claudia.
Condannato a morte da Caligola, ma graziato, e condannato alla relegatio in insulam da Claudio, che poi lo richiamò a Roma, Seneca divenne tutore e precettore del futuro imperatore Nerone. Dopo il c.d. "quinquennio di buon governo" o "quinquennio felice" (54 e.v. -59 e.v.), in cui Nerone governò saggiamente sotto la tutela di Seneca, l'ex allievo e il maestro si allontanarono sempre di più, portando il filosofo al ritiro a vita privata che aveva sempre desiderato. Tuttavia, Seneca, forse implicato in una congiura contro di lui, cadde vittima della repressione neroniana, scegliendo il suicidio.
Seneca, fin dalla giovinezza, ebbe problemi di salute: era soggetto a svenimenti e attacchi d'asma che lo portarono a vivere momenti di disperazione:
«La mia giovinezza sopportava agevolmente e quasi con spavalderia gli accessi della malattia. Ma poi dovetti soccombere e giunsi al punto di ridurmi in un'estrema magrezza. Spesso ebbi l'impulso di togliermi la vita, ma mi trattenne la tarda età del mio ottimo padre. Pensai non come io potessi morire da forte, ma come egli non avrebbe avuto la forza di sopportare la mia morte. Perciò mi imposi di vivere; talvolta ci vuole coraggio anche a vivere.» (Epistulae ad Lucilium, 78, 1-2).
Ebbe come maestri di filosofia Sozione di Alessandria, Attalo e Papirio Fabiano, appartenenti rispettivamente al neopitagorismo, allo stoicismo e al cinismo.
Il neopitagorico Sozione era legato alla setta dei Sestii che raccoglieva elementi di varia provenienza, in particolare stoica e pitagorica, e raccomandava ai suoi adepti una vita semplice e morigerata, lontana dalla politica.
Seneca seguì intensamente gli insegnamenti dei maestri, che esercitarono su di lui un profondo influsso sia con la parola sia con l'esempio di una vita vissuta in coerenza con gli ideali professati. Da Attalo imparò i principi dello stoicismo e l'abitudine alle pratiche ascetiche. Da Sozione, apprese i principi delle dottrine di Pitagora e fu avviato verso la pratica vegetariana; venne distolto però dal fatto che l'imperatore Tiberio proibisse di seguire consuetudini di vita non romane.
I precetti dei maestri e la caratteristica vocazione eclettica della filosofia romana portarono Seneca a maturare una posizione filosofica prevalentemente stoica, seppur contenente elementi epicurei (distacco del sapiens dal volgo per l'elevazione spirituale), cinici (tema della libertà dalle passioni), medioplatonici (idea spirituale della divinità), socratici (libertà perseguibile attraverso la conoscenza) e aristotelici (importanza delle scienze).
La saggezza per Seneca è dominazione ragionevole delle passioni e non apatia e immunità dai sentimenti e l'ascesi spirituale del saggio si compone di cinque tappe:
Trionfo sulle passioni: innanzitutto paura, dolore e superstizione.
Esame di coscienza: pratica comune nella dottrina pitagorica.
Consapevolezza di essere parte del lògos: rendersi conto di essere creature ragionevoli, parte del progetto provvidenziale della ragione.
Accettazione e riconoscimento: il sapiente riconosce ciò che è parte della ratio e cosa no, rendendosi conto di farne parte.
Raggiungimento della libertas interiore: attraverso la ragione l'uomo può vivere felice.
La sapienza si configura così come un mezzo e non come un fine, attraverso il quale l'uomo raggiunge la libertà interiore e non una conoscenza fine a se stessa.
Seneca affrontò l'ora fatale con la serena consapevolezza del filosofo: egli, come racconta Tacito, non potendo fare testamento dei restanti beni (requisiti anch'essi da Nerone), lasciò in eredità ai discepoli l'immagine della sua vita, richiamandoli a trattenere le lacrime, dato che esse erano in contrasto con gli insegnamenti che lui aveva sempre dato loro. Il vero saggio deve raggiungere infatti l’apatheia, apatia, ovvero l'imperturbabilità che lo rende impassibile di fronte alla sorte. Dopo il discorso ai discepoli, Seneca compie l'atto estremo:
«Dopo queste parole, tagliano le vene del braccio in un solo colpo. Seneca, poiché il suo corpo vecchio ed indebolito dal vitto frugale procurava una lenta fuoriuscita al sangue, si recise anche le vene delle gambe e delle ginocchia.» (Publio Cornelio Tacito, Annales). Fece poi trasferire la moglie in un'altra stanza e ricorse anche ad una bevanda a base di cicuta, veleno usato anche da Socrate. Tuttavia nemmeno quello ebbe effetto, così, Seneca si immerse in una vasca d'acqua bollente per favorire la perdita di sangue «spruzzandone i servi più vicini e dicendo di fare con quel liquido libazioni a Giove Liberatore». Ma alla fine raggiunse una morte lenta e straziante per soffocamento causato dai vapori caldi, a causa dei quali non poteva respirare.
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