Con questa poesia Wislawa Szymborska sembra giocare nel fare una sorta di statistica “ad occhio”. Sembra fare una conta elencando i peccati e le debolezze dell’umanità. Ci vien da pensare che poi alla fine della poesia tra quelle cento persone, a rappresentanza di tutta l’umanità, siamo compresi anche noi. Forse il suo messaggio sta a significare su quanto noi esseri umani siamo più uniti di quello che pensiamo: siamo tutti diversi e unici, ognuno con la propria storia ed il proprio vivere, più o meno eticamente accettabile ma che in ultimo ci ritroviamo a condividere i limiti della nostra imperfezione e la comune finitezza in questo mondo.

Contributo alla statistica

Su cento persone:
che ne sanno sempre più degli altri
– cinquantadue;

insicuri a ogni passo
– quasi tutti gli altri;

pronti ad aiutare,
purché la cosa non duri molto
– ben quarantanove;

buoni sempre,
perché non sanno fare altrimenti
– quattro, be’, forse cinque;

propensi ad ammirare senza invidia
– diciotto;

viventi con la continua paura
di qualcuno o qualcosa
– settantasette;

dotati per la felicità,
– al massimo non più di venti;

innocui singolarmente,
che imbarbariscono nella folla
– di sicuro più della metà;

crudeli,
se costretti dalle circostanze
– è meglio non saperlo
neppure approssimativamente;

quelli col senno di poi
– non molti di più
di quelli col senno di prima;

che dalla vita prendono solo cose
– quaranta,
anche se vorrei sbagliarmi;

ripiegati, dolenti
e senza torcia nel buio
– ottantatré
prima o poi;

degni di compassione
– novantanove;

mortali
– cento su cento.
Numero al momento invariato.

Wisława Szymborska

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