Gli esseri umani sono una specie altamente dipendente dal senso della vista e quando l’energia elettromagnetica della luce penetra la retina ed agisce sui fotorecettori si avviano processi che attraversano come un raggio tutta la massa cerebrale. E la prima cosa che “vede” le caratteristiche salienti – ovvero i low-level features- dell’immagine, le sue linee, il suo colore, la sua luce. Quest’ultime sono, in effetti, gli elementi portanti nella poetica di Luca Boatta che – attraverso il tratto pittorico – effettua un’analisi proto-scientifica della nostra vista. A citare il neuro-esteta Semir Zeki, l’arte risulta lo strumento più semplice per svelare il funzionamento della mente. Perciò Boatta riesce, inconsciamente, a proporre alla nostra vista la sua stessa immagine attraverso la mappa strutturale del suo funzionamento o, per dirla meglio con Kandinskij, “il colore è un mezzo per esercitare un influsso diretto sull'Anima. Il colore è il tasto. L'occhio è il martelletto. L'Anima è un pianoforte con molte corde. L'artista è la mano che con questo o quel tasto porta l'anima a vibrare.” (Lo spirituale nell'arte, 1909)
L’instabilità della forma e la sua dipendenza dagli agenti circostanziali interessa l’azione creativa di Michele Liparesi. Azione che nasce dalla natura intrinseca del materiale – malleabile ma freddo – si sviluppa nell’imprinting con l’autore e si esprime nel contatto con il fruitore. Il contatto è il contenuto. Nella sintassi spaziale che la nostra presenza psicofisiologica instaura con le risonanze degli oggetti e la geometria del context, il significato di ogni fenomeno emerge proprio dall’interazione con esso. Similmente le creature leggere, reticolari e instabili della fauna costruita da Liparesi reagiscono a ogni variazione della dimensione che abitano e dialogano con le sue presenze - noi compresi – proiettando il proprio essere e modellando, a sua volta, il habitat. Questa interazione complessa tra forze multiple e compresenti – formante il sociale come il soggettivo - determina quella svolta ontologica post-strutturalista che apre la strada a un nuovo materialismo – post-umano ma organico – che nel realismo agentivo tra inanimato e organico trova la sua ragion d’essere.
La dipendenza intrinseca del mondo materiale dall’immateriale meccanismo cognitivo degli esseri viventi permette non solo l‘infinita declinazione della resa formale – ovvero il sistema degli oggetti diverso per ogni cultura, gruppo e individuo - ma anche quella dell’elaborazione mentale. In questa prospettiva le caratteristiche figurative che noi attribuiamo con tanta certezza alle cose che ci circondano sono, invece, formulazioni culturalmente locali con limitata valenza fenomenica. La lingua geometrica e spigolosa dell’espressione artistica di Roberto Re ne è la dimostrazione. Frammentare un oggetto, ovvero privarlo della configurazione d’aspetto attribuitagli da una determinata realtà, non significa privarlo della sua struttura, bensì riproporla attraverso un’apparenza diversa. Ed è quest’ultima che genera, di conseguenza, una nuova espressione formale e così a seguire in un ritmo frattale dal quale scaturisce, prima di tutto, la bellezza della natura espressa nella sezione aurea dell’imperfezione organica.
Denitza Nedkova
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