Ultimamente si parla molto della plasmaferesi, la terapia al plasma iperimmune per curare i malati di Covid-19. Una “scoperta” che ha scatenato speranza e polemiche, ma anche tanta confusione. Infatti, per quanto in questo momento rappresenti l’unica terapia specifica per curare il Coronavirus, non si tratta di un procedimento innovativo, dal momento che il plasma è stato usato per la prima volta alla fine del 1800 per curare la difterite, e successivamente per malattie come tetano, influenza spagnola ed ebola.
Ma in cosa consiste questa plasmaferesi? Come dice anche il nome, si tratta di somministrare il plasma donato da pazienti guariti in persone malate, così da debellare il virus. Ma non è così semplice. Infatti, non tutti i guariti da Covid possono essere donatori. Chi desidera donare il plasma, infatti, deve soddisfare alcuni requisiti particolari, come quelli già richiesti per una donazione “tradizionale” come peso ed età, ma ci sono in questo caso anche criteri riguardanti il titolo anticorpale, quindi il dosaggio di anticorpi presenti nel plasma, e l’assenza di virus o altre patologie. Una volta raccolto, poi, il plasma deve essere ulteriormente trattato con una macchina apposita e infine donato.
Per capire meglio come funziona questo procedimento e a che punto siamo anche a livello di protocolli, ci siamo rivolti a chi si sta occupando dell’argomento nella provincia autonoma di Trento.
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