Commento di don Paolo Quattrone - sacerdote della diocesi di Aosta, parroco di Hône e Bard.
Venerdì 1° novembre
Eccoci giunti ad una delle feste, anzi solennità, più importanti dell’anno liturgico: la solennità di tutti i santi. Oggi siamo invitati a guardare a tutti i santi, a tutti coloro cioè che sono in Paradiso perché santi sono tutti quegli uomini e quelle donne che sono in Paradiso, molti famosi ma c’è una miriade di gente normale, anonima ma che è nell’eterna gioia con Dio. Il Vangelo che la liturgia ci propone oggi è quello delle beatitudini, Gesù ripete per ben nove volte: beati, cioè felici. Questa parola, beati, ci ricorda che la felicità e la santità sono strettamente collegate, il Paradiso è felicità eterna che è collegata con la felicità terrena. Per entrare in Paradiso in sostanza dobbiamo imparare ad essere felici già quaggiù che attenzione, non vuol dire che non conosceremo nessuna sofferenza, nessun dolore, nessun lutto, che la vita andrà sempre liscia, la felicità non è questa roba anche perché non esiste una vita tutta liscia senza ombre e ferite. Gesù con le beatitudini ci dice che per entrare in Paradiso occorre allenarci ad essere felici qui sulla terra. Come amo spesso fare, l’etimologia delle parole ci aiuta a fare chiarezza tanto più su termini di uso comune. Felicità non è spensieratezza o vita agiata senza alcun problema. Felicità deriva dal latino FELIX, parola che gli antichi romani usavano per riferirsi ad un albero che porta frutti, che è rigoglioso (arbor felix) di conseguenza la parola felicità ha a che fare con l’essere fecondi, con il portare frutto, con il generare, il far fluire la vita come la linfa fluisce nell’albero e questo di conseguenza vive e porta frutto. Siamo perciò FELIX cioè felici quando portiamo frutto, quando esprimendo ciò che siamo portiamo frutto là dove viviamo, nelle scelte che abbiamo compiuto, in quel campo nel quale siamo situati, per le persone che si accostano a noi. Chi si avvicina a noi trova un albero secco, appassito o pieno di foglie e di frutta succosa? Attenzione non vuol dire essere perfetti, i santi non sono stati uomini e donne perfetti, ogni albero ha le sue imperfezioni, nel tronco, nelle radici, nelle foglie e anche nei frutti ma ciò che conta è portare frutto, è portare anche un po' di frescura e di ombra. Ecco chi sono i santi, sono uomini e donne che hanno saputo portare frutto in ciò che sono stati, hanno saputo donare loro stessi in ciò che vivevano, in ciò che erano e così com’erano con i loro pregi e difetti. A proposito di albero mi viene alla mente il salmo 1 e precisamente questo passo: Beato l'uomo che non segue il consiglio degli empi, non indugia nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli stolti; ma si compiace della legge del Signore, la sua legge medita giorno e notte. Sarà come albero piantato lungo corsi d'acqua, che darà frutto a suo tempo e le sue foglie non cadranno mai; riusciranno tutte le sue opere. Dio ci ha insegnato qual è la via della felicità, l’avevano già intuita gli antichi romani, ha a che fare con l’essere fecondi, con il generare vita, amando, portando frutto là dove vivo e per ciò che sono, Dio non mi chiede di essere una quercia o chissà quale albero grandioso, non importa che albero sono ciò che conta è che le mie radici siano ben piantate innanzitutto nel presente perché sono chiamato ad amare là dove vivo, nelle situazioni belle o difficili della vita, a mettere amore non chissà dove, in quali luoghi ideali ma là dove vivo, con le persone che ci sono, nelle scelte che ho fatto, nei luoghi dove sto. Ciò che conta poi è che le radici siano piantate in Dio, in ciò che Lui ci ha insegnato perché ci ha insegnato ad amare, a non vivere solo per noi stessi, ad essere alberi che portano frutto per gli altri e non per se stessi infatti l’albero offre i suoi frutti non li tiene per sé e infine avere le radici ben piantate in Dio significa sapere che la forza di amare non ca la diamo da soli, l’albero attinge risorse dal terreno, dalle falde, non basta a se stesso e così vale per noi, non pensiamo che l’amore sia solo uno sforzo ma è anche un dono, un dono da chiedere, da attingere alla fonte dell’amore che è Dio. I santi sono tutti coloro che nella loro vita, nel loro piccolo hanno saputo donarsi, portando frutto, diffondendo ossigeno, rendendo un po' più bello, fresco e gustoso il pezzettino di mondo dove hanno vissuto.
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