Era un vero patto di sangue quello emerso dalle indagini sulla famiglia Zinnanti. Un patto dove era il 22enne Marco a lavare i panni sporchi con il consenso e l'aiuto dell'intera famiglia. I genitori di Marco, il giovane omicida del taxista di Covignano, non solo erano a conoscenza dei suoi traffici di droga, di armi e documenti falsi, ma erano suoi complici. Dopo l'assassinio del 2 settembre scorso di Leonardo Bernabini, la fuga di Marco fu coperta dalle sorelle, dal padre, ma soprattutto dalla madre del 22 enne.
"Riteniamo la madre comunque il soggetto che aveva un forte ascendente su Marco", ha sottolineato il Capo della Squadra Mobile Nicola Vitale, "una persona che ha tenuto le fila fin da sempre su tutta l'intera attività illecita del figlio. Figlio considerato come gallina d'oro che permetteva alla famiglia di tenere un tenore di vita alto rispetto alle loro possibilità economiche."
Proprio per questo mamma Maria, 50enne nata ad Arezzo il 2 settembre scorso, non appena saputo dal figlio dell'omicidio commesso, si precipitò con il marito Tommaso, 52enne trapanese, per recuperare e nascondere il figlio. Lo accompagnarono al covo di via Teodorico, con gli abiti ancora pieni di sangue, per farlo cambiare e riposare. Fu la madre a chiamare l'amica Assunta Dina Di Bartolomeo, 58enne che si trovava a Teramo assieme al figlio Eros Zanzani di 28. I due si resero disponibili a nascondere il fuggiasco fra i monti, nella loro casa in località Rocca Santa Maria. Prima di condurre Marco in Abruzzo la famiglia Zinnanti però passò dalla loro casa in via Lince, per trasportare e nascondere il loro "bottino"(armi, droga, documenti falsi e denaro) nel covo di Via Teodorico. Da qui mamma Maria telefonò a Modena a Giovanna, la figlia 25enne, ordinandole di prendere il treno e di recarsi a casa, per fare sparire ogni traccia. La polizia però la bloccherà prima. Sempre il boss di casa, Maria, chiamò lo scorso 5 settembre l'amica DI Bartolomeo per incontrarsi al casello e condurre Marco al sicuro. Dall'intercettazione della telefonata scatterà il blitz della squadra mobile di Rimini e il successivo arresto di Marco. Dopo due mesi di indagini nei confronti dei Zinnanti, condotta con intercettazioni ambientali in carcere, in casa e in macchina, l'intera vicenda, o quasi, è stata ricostruita.
"Con oggi possiamo ritenere di aver chiuso definitivamente il cerchio intorno l'intera vicenda legata alla morte di Bernabini", conclude il Capo della Squadra Mobile Nicola Vitale, "con le cinque custodie cautelari in carcere eseguite oggi, riteniamo di aver così assicurato alla giustizia, a vario titolo, tutti coloro che hanno partecipato a questa intera vicenda favorendo la latitanza di Zinnanti Marco e rispondendo dei gravissimi reati concorso in detenzione di armi, droga, documenti contraffati e altro".
I cinque si trovano nelle carceri di Forlì e Rimini. La sorella di 13 anni al momento si trova a casa della zia, ma gli inquirenti propendono per l'affidamento.
Su eventuali altri complici, acquirenti di casa Zinnanti, sono in corso ancora le indagini. Come accade nei clan, dopo l'arresto del 22enne, sono state numerose le donazioni di denaro alla famiglia per la latitanza di Marco.
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