Il 20 febbraio del 1958 veniva approvata la legge Merlin, che inserendo nel codice penale i reati di sfruttamento, induzione e favoreggiamento della prostituzione portava alla chiusura delle 'case di tolleranza'. A Genova sorgevano postriboli di tutti i livelli, da quelli più economici all'interno di vecchi magazzini a quelli lussuosi dove, allo sfruttamento del corpo delle donne, uomini d'affari potevano unire la consumazione di caviale e champagne. A sessant'anni dalla chiusura dei 'casini', a Genova la prostituzione non ha mai smesso di caratterizzare il centro storico e le strade che portano dal centro città fino alla periferia di ponente. Domenico 'Megu' Chionetti, portavoce della Comunità di San Benedetto al Porto, ci accompagna sulle strade dove la prostituzione è gestita e organizzata: "L'approccio che ci ha trasmesso don Andrea Gallo non è morale e non riguarda il decoro della città, per noi al centro resta sempre la possibilità delle persone di essere libere, anche di decidere se vendere o meno il proprio corpo. Difficilmente, però, una persona deciderebbe liberamente di vendere il proprio corpo su una strada suburbana, sotto la pioggia, con cinque gradi, di inverno".Per uscire da questa situazione, la via indicata dalla Comunità di San Benedetto è quella di "rilanciare le unità di strada, tessere una rete di sostegno in coordinamento con altre città che vada dagli appartamenti di prima accoglienza a seri progetto di avviamento al lavoro e integrazione nella società. Perché è vero che, se irregolare, chi denuncia il proprio sfruttatore oggi può usufruire di un permesso di soggiorno, ma la libertà non è solo questione di documenti, ma anche di possibilità concrete di lavoro e allontanamento da chi oggi gestisce la tratta in un contesto di sostanziale impunità". (videoservizio di Pietro Barabino)
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