Il recesso anticipato del conduttore è ammesso, ma solo in presenza di gravi motivi, altrimenti si pagano i canoni fino alla scadenza.
Le locazioni di immobili ad uso commerciale seguono regole parzialmente diverse da quelle per uso abitativo. Innanzitutto, cambia la durata, che è più lunga rispetto alle classiche formule “4+4” o “3+2” utilizzate per le case: gli esercenti che allestiscono un negozio, un ristorante o un albergo hanno bisogno di maggiore stabilità. Ma anche la disdetta, ossia la risoluzione anticipata del contratto di locazione per recesso di una delle parti, funziona in maniera differente, perché esistono ulteriori cause che permettono lo scioglimento del vincolo contrattuale prima della scadenza.
Tra questi motivi di interruzione del rapporto è molto frequente nella pratica la disdetta del contratto di locazione per cessata attività: questa possibilità è ammessa dalla legge, ma solo a determinate condizioni. Non basta che il conduttore dei locali mandi una lettera al proprietario comunicandogli semplicemente la sua volontà di andare via, liberare i locali e dunque recedere dal contratto prima del termine: a sostegno della richiesta devono esserci dei «gravi motivi», altrimenti il conduttore potrebbe essere condannato a pagare comunque i canoni residui, sino alla scadenza contrattuale programmata, come è avvenuto in una vicenda decisa di recente dalla Cassazione
In questa sentenza la Suprema Corte ha fissato il “perimetro” condizioni per dare una valida disdetta del contratto di locazione per cessata attività: il Collegio ha addirittura affermato che la disdetta non adeguatamente motivata non vale neppure ad impedire il rinnovo automatico del contratto alla prima scadenza, e quindi il conduttore rischia di dover pagare i canoni di locazione per molti anni ancora.
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