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400 miliardi di dollari di liquidità aggiuntiva, immessa dall’amministrazione federale di Joe Biden – sulla base di un nazionalismo oltre lo stesso Trump – all’interno del cosiddetto “atto di riduzione dell’inflazione” per sostenere redditi interni e reindustrializzazione domestica, stanno scatenando un serrato dibattito a Bruxelles, dove il recente varo del tetto massimo al prezzo del gas rischia di essere un’arma spuntata a fronte di un sempre minore apporto di metano russo e della prossima imminente riapertura post covid dell’economia industriale e commerciale cinese
La particolare scelta di politica monetaria, che nella Costituzione federale statunitense è strettamente integrata a quelle fiscale dell’autorità di governo, portando a un indebolimento del dollaro nel tasso di cambio con la moneta unica europea, sembra essere stata definita apposta al fine di favorire una crescente esportazione di gas naturale liquefatto verso il vecchio Continente, così da rimpiazzare le forniture da Mosca e da indurre l’Europa ad acquistare la tecnologia americana necessaria al processo di gassificazione.
Nel frattempo, all’estremo Est della UE, a incombere è la prospettiva che, dal prossimo otto gennaio, la Repubblica popolare comunista cinese riaprirà in misura pressoché integrale le proprie frontiere, abolendo l’obbligo di quarantena per i viaggiatori internazionali in arrivo nel Paese della grande muraglia (o dragone che dir si voglia) e prescrivendo unicamente un tampone nelle 48 ore precedenti. Questo a dispetto di dati ufficiosi che indicano una recrudescenza dei contagi (e decessi) da coronavirus che tuttavia il governo autocratico di Xi Xinping ha declassato a semplice infezione respiratoria di livello B.
Al netto dei fondati allarmi sanitari (ai quali Biden intende opporre una linea di dialogo con Pechino nel segno della fornitura di vaccini occidentali da due a tre volte più efficaci degli equivalenti locali), la conseguenza sarà una ripresa della domanda di materie prime energetiche a partire proprio dal gas, con una intensificazione degli accordi tra Cina e federazione Russa di Putin, in uno scenario tale da spiazzare quasi del tutto il price cap da poco varato a Bruxelles.
Il tetto massimo alle quotazioni del metano, infatti, in base alle più elementari leggi di mercato appare poco efficace in presenza di una rarefazione dell’offerta di idrocarburi, rendendo preferibili opzioni diverse di natura diplomatica volte a spuntare singoli accordi di maggiore favore con fornitori terzi con Norvegia, Libia, Azerbaijan e appunto Stati Uniti d’America; mentre sul fronte del contenimento delle manovre speculative interne, sarebbe stato molto più efficace introdurre, bypassando il veto olandese, un meccanismo volto a ottenere la sospensione del mercato del TTF (la piazza con sede nei Paesi Bassi di quotazione dei titoli futures sul gas) contro gli eccessi di rialzo e la prassi dei prezzi spot che finiscono con il diventare i listini di riferimento a danno di famiglie consumatrici e imprese utilizzatrici finali.
Ciò nonostante, neppure in casa americana le vicende domestiche sono del tutto rosee nonostante l’atto di riduzione dell’inflazione che molti attriti sta provocando tra il presidente federale Joe Biden e l’omologa di Bruxelles Ursula von der Leyen e singoli leader da Macron a Scholz, mentre l’italiano Gilberto Pichetto, Ministro per la sicurezza energetica, ha dichiarato senza perifrasi che oramai il rischio è che le delocalizzazioni a danno della UE si dirigano non più verso la Cina (penalizzata dalle politiche oscurantiste in fatto di covid) bensì piuttosto verso Washington.
La volontà politica del governo americano di favorire e accelerare le esportazioni di gas naturale liquefatto, portando le compagnie di estrazione e distribuzione a ricavare una convenienza economica crescente a collocare quantitativi sempre maggiori di combustibile all’estero, sta avendo come contraltare della stessa medaglia una più ridotta disponibilità della stessa materia prima nei confronti delle famiglie degli States, alle prese ultimamente con l’emergenza della tempesta di neve e con bollette rincarate del 35 per cento per quanto attiene al riscaldamento e del 7 sul fronte elettrico.
Paradossalmente, a Washington converrebbe molto di più, anche per la coesione sociale e politica interna, limitare le esportazioni di GNL e varare un piano Marshall energetico a favore dell’alleato europeo, per investimenti nella decarbonizzazione e nella adozione generalizzata di impianti idroelettrici, fotovoltaici ed eolici rispetto ai quali la UE allargata potrebbe costituire un mercato molto più promettente, redditizio e sostenibile.
Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI
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