Il suo ufficio di Maranello, il riflesso delle luci sulle lenti scure, il ghigno che ogni tanto si tramuta in un sorriso franco, come se il Vecchio capisse in quei momenti che di fronte a quell’interlocutore può togliersi la maschera di durezza e imperturbabilità. È l’intervista che Enzo Ferrari rilascia a Gianni Minà per la trasmissione “Blitz” del 1984. È un uomo provato dagli anni e al tempo stesso energico; uno che dopo ogni domanda attende, per rispondere, quell’istante di solennità che lascia trascorrere.
Si parla di gare, di piloti, certo, ma poi la bravura di Minà fa emergere quei contenuti umani verso i quali Ferrari vira con naturalezza; si parla di amicizia, di rapporti, della sua “brutale sincerità” che spesso la gente scambiava per astuzia.
"Se avessi avuto voce avrei fatto il cantante d’operetta" è solo uno dei passaggi che Minà riesce a tirar fuori da un uomo che poi, quando gli viene chiesto cosa pensi quando la gente dice che ha un carattere scorbutico, risponde "Penso che hanno ragione".
La grandezza di Gianni Minà stava, anche, nella serenità con la quale faceva in modo che gli interlocutori più celebri dei pianeta in vari ambiti decidessero non soltanto di rispondere alle sue domande, ma di affidarsi a esse; non si spiegherebbe altrimenti una risposta in particolare che Ferrari dà al giornalista quando quest’ultimo chiama in causa la sua presunta durezza, la sua proverbiale arroganza: "Sono spesso apparso duro e arrogante forse per mascherare la mia debolezza",
L’uomo ammette di non fare mai bilanci, perché il tempo per farli è un lusso che non si può concedere, dunque pensa sempre a quello che può e che gli resta da fare, "Compatibilmente col Padreterno".
Per “stanare” un grande uomo così diffidente e così arcigno c’era bisogno di un altro grande uomo, che fosse in grado di mostrare il rispetto dovuto a Ferrari senza però sconfinare nella deferenza, o nella piaggeria. Quel giorno questo atteggiamento deve essere piaciuto a Enzo Ferrari, che quelle cose, in quel modo, le disse solo a Minà.
