Cinzia Corridore, docente presso I.I.S. "Andrea Bafile" legge il canto XXVII dell’Inferno.
Dante e Virgilio si trovano ancora nella bolgia dei consiglieri fraudolenti. Ora i due poeti incontrano un personaggio storico dalla cui fiamma esce un confuso suono di voce simile ad un muggito: Guido da Montefeltro. Questo, che fu signore di Forlì e condottiero dei ghibellini, fece strage della cavalleria francese e guelfa inviate dal “gran prete” Papa Martino IV, costringendole dunque alla resa. Riconosce però che in vita le sue opere “non furon leonine, ma di volpe” e, giunto alla vecchiaia, “etade ove ciascun dovrebbe / calar le vele e raccoglier le sarte”, cercò di pentirsi delle sue malefatte, senonché subito dopo consigliò in maniera fraudolenta “lo principe d’i novi Farisei, Papa Bonifacio VIII, nella battaglia per sottomettere la famiglia Colonna con la sicura promessa di una immediata assoluzione.
Così Guido meritò l’inferno: non appena morì, nonostante San Francesco (al cui ordine egli appartenne in vita) fosse deciso a portare la sua anima in Paradiso, “un d’i neri cherubini” se la portò tra i suoi meschini proprio “perché diede ‘l consiglio frodolente”: con spiccata precisione ed originale dottrina, Dante insegna che “assolver non si può chi non si pente, / né pentere e volere insieme puossi / per la contradizion che nol consente”.
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