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Appartenente alla famiglia nobile vicentina dei Piovène, figlio unico di Francesco e Stefania di Valmarana, con una tesi su Vico conseguì la laurea in filosofia alla Statale di Milano,[1] dove conobbe tra gli altri il filosofo Eugenio Colorni. Giovane fascista, si avviò senza indugi alla carriera giornalistica, incominciando dal Convegno e dalle prestigiose riviste fiorentine Pegaso e Pan, dirette da Ugo Ojetti, coprendo il ruolo di inviato fin dalla sua prima assunzione per il quotidiano L'Ambrosiano, dalla Germania. Passò successivamente al Corriere della Sera, dove lavorò da corrispondente estero a Londra e Parigi, curando anche in diverse occasioni la critica cinematografica del quotidiano, per il quale partecipò come inviato alla Mostra del cinema di Venezia.
Presso la testata lombarda conobbe Dino Buzzati, Orio Vergani e Indro Montanelli. Fece scalpore al tempo la recensione entusiastica che il giornalista, noto osservatore del mondo comunista, scrisse per il libello antisemita Contra judaeos di Telesio Interlandi: questo fatto gli costò l'amicizia con Colorni. Rinfacciategli nel dopoguerra, Piovene abiurò le precedenti posizioni razziste nel suo mémoire La coda di paglia.
Collaborò più avanti con Solaria, Pan, Tempo, La Stampa, con la quale proseguì la sua attività di inviato dapprima negli Stati Uniti d'America e successivamente a Mosca.
Nel 1931 pubblicò i suoi primi racconti ne La vedova allegra, stampato dai fratelli Buratti. Ci vollero dieci anni perché Piovene desse alle stampe la sua seconda opera, Lettere di una novizia.
Guido Piovene (a sinistra) con l'editore Arnoldo Mondadori.
In un secondo momento, la produzione di Piovene si orientò verso il reportage di viaggio: diede alla luce il De America nel 1953, frutto di un viaggio di 32 000 chilometri attraverso 38 stati della Federazione, assieme alla moglie Mimy, su un'automobile Buick; seguì Viaggio in Italia (1957), la più celebre guida letteraria del Bel Paese durante il boom economico, originata dalla trasmissione radiofonica RAI che Piovene tenne, dal 1953 al 1956, percorrendo il territorio da nord a sud, raccontando le 'cose viste'. Piovene si rese conto dei formidabili mutamenti in corso, dalla rapida industrializzazione alla tumultuosa e caotica crescita urbana:
«mentre percorrevo l'Italia, e scrivevo dopo ogni tappa quello che avevo appena visto, la situazione mi cambiava in parte alle spalle… Industrie si chiudevano, altre si aprivano; decadevano prefetti e sindaci; nascevano nuove province»
«In nessun altro Paese sarebbe permesso assalire come da noi, deturpare città e campagne, secondo gli interessi e i capricci di un giorno»
Per Montanelli, «il suo Viaggio in Italia dovrebbe essere testo d'obbligo nelle scuole italiane, tali sono la profondità e la nitidezza della sua sonda nelle pieghe e nelle piaghe del nostro Paese»[2]
Ritornò alla narrativa nel 1963 con Le furie, romanzo-saggio che è la cronaca di un ritorno a Vicenza e del confronto con i personaggi-fantasmi ("furie" appunto) del proprio passato. A dieci anni di distanza dal Viaggio in Italia pubblicò anche Madame la France e La gente che perdé Gerusalemme. Nel 1968 tornò alla Mostra del cinema di Venezia come presidente della giuria della Mostra internazionale del cinema di Venezia. Il massimo conseguimento della mai dimenticata introspezione psicologica dei personaggi lo ottenne con il romanzo del 1970 Le stelle fredde, in cui una trama striminzita fa da sfondo ad un'abilissima analisi della morale. Il libro venne insignito del premio Strega.[3] Nello stesso anno gli venne diagnosticata la sclerosi laterale amiotrofica, che lo porterà alla morte quattro anni più tardi.
Lasciò La Stampa per fondare assieme a Indro Montanelli e altri Il Giornale Nuovo, pubblicato dal 24 giugno 1974 e del quale fu il primo presidente della società editrice. Cinque mesi dopo morì in una clinica neurologica a Londra, città nella quale si trovava per il lavoro da corrispondente estero.
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